
La notizia della scomparsa di mouldi, meglio noto come «ghazela», ha colpito profondamente la scena culturale tunisina. Artista riconosciuto per aver sfidato tabù e confini sociali, è stato il primo volto apertamente lgbtq+ legato alla danza tradizionale del paese. Nato nel 1946 nel villaggio di oued essouani, ha rappresentato per oltre cinquant’anni una presenza vitale nel panorama folklorico e artistico del nord-ovest tunisino.
Le origini e l’inizio della carriera artistica di mouldi “ghazela”
Mouldi nacque nel 1946 a oued essouani, un piccolo centro nel governatorato del kef, nord-ovest della tunisia caratterizzato da un ricco patrimonio culturale rurale. Fin da bambino mostrò una straordinaria inclinazione per la danza. A soli dodici anni cominciò a esibirsi nei matrimoni e nelle feste di paese, indossando abiti femminili che lui stesso cuciva. Questo gesto, inatteso in un contesto tradizionalista come quello tunisino dell’epoca, segnò l’inizio di un percorso artistico unico.
Il soprannome «ghazela» gli fu dato dalla levatrice che lo aveva assistito alla nascita e che rimase al suo fianco per tutta la vita. Questa denominazione divenne la sua identità scenica e personale, incarnando la delicatezza e l’energia che contraddistinguevano il suo stile. I suoi movimenti fondevano elementi della danza sufi con le tradizioni popolari locali, creando così una forma espressiva nuova e riconoscibile. Ghazela non era solo un ballerino, ma un ponte tra culture e generazioni.
L’impatto culturale e la sfida ai codici sociali
Per decenni, ghazela è stato una figura costante nelle celebrazioni rituali del nord-ovest tunisino. La sua danza non si limitava alla mera esibizione, ma raccontava storie di identità, appartenenza e resistenza. La sua presenza pubblica, apertamente queer, è stata una rottura significativa in un paese dove l’articolo 230 del codice penale continua a criminalizzare l’omosessualità.
Nonostante il contesto restrittivo, ghazela non si è mai definito come attivista politico, eppure la sua arte incarnava un dissenso implicito. Usando gesti, abiti e rituali, ha espresso una forma di libertà che superava parole e dichiarazioni. Questo ha permesso a molte persone, soprattutto giovani, di riconoscersi in una cultura invisibile fino a quel momento.
La celebrazione della sua figura tra cinema e media
La vita di mouldi “ghazela” è stata raccontata anche attraverso il documentario “Ghazela” , diretto da hajer nefzi. Il film, presentato alle journées cinématographiques de carthage e in vari festival internazionali, ha mostrato un artista “libero” e “solare”, fuori dalle convenzioni sociali. La pellicola ha contribuito a far conoscere a un pubblico più ampio l’importanza del suo lavoro nel tessuto culturale tunisino.
Dopo la sua morte, avvenuta il 25 giugno 2025 nel suo villaggio natale, i media tunisini hanno dedicato ampio spazio alla sua memoria. Il coreografo rochdi belgasmi ha parlato di ghazela come “fonte di ispirazione” e simbolo di una resistenza artistica silenziosa. Testate come jomhouria, webmanagercenter e la redazione tunisina di al arabiya hanno diffuso tributi e materiali commemorativi, sottolineando il coraggio con cui aveva sfidato norme e pregiudizi.
L’eredità artistica e sociale di ghazela nella tunisia contemporanea
L’uscita di scena di mouldi «ghazela» segna la fine di un capitolo rilevante per la memoria popolare tunisina. Le associazioni lgbtq+ e gli attivisti ricordano la sua figura come un simbolo spontaneo di dissidenza culturale. Ghazela aveva trovato nella danza un linguaggio per esprimere una verità che spesso rimaneva nascosta in pubblico.
Attraverso i suoi gesti, abiti e movenze ha costruito un archivio intangibile di resistenza e bellezza, segnando un’epoca in cui l’identità queer non aveva ancora uno spazio visibile nella società tunisina. Il suo nome resta un punto di riferimento per chi lotta per la libertà di espressione e per il riconoscimento dei diritti in una regione dove tali temi restano delicati.
Il lascito di ghazela continua attraverso le tracce lasciate nella danza popolare, nei volti di chi l’ha visto esibirsi e nelle parole di chi lo ha ricordato. La sua storia testimonia una forma di coraggio artistico e umano che si inserisce nella narrazione più ampia dei diritti civili e culturali nel nord africa.