
Il 27 giugno 1980 un dc9 dell’itavia, decollato da bologna verso palermo con 81 persone a bordo, esplose improvvisamente sui cieli di ustica. Nonostante anni di indagini, processi e approfondimenti tecnici, l’identità dei responsabili non è mai stata accertata con certezza. La vicenda è rimasta uno dei casi più complessi e controversi della storia italiana recente, intrecciando elementi di cronaca, politica e difesa nazionale. La tragedia ha alimentato ipotesi contrastanti e dubbi, in particolare sulla dinamica dell’esplosione e sugli eventi militari che si sarebbero svolti in quella sera.
Le prime indagini e le ipotesi iniziali sul disastro aereo
Quando il dc9 scomparve dai radar e i detriti cominciarono a emergere, la prima spiegazione suggerita parlava di un cedimento strutturale. Questa teoria sembrava plausibile viste le condizioni tecniche dell’aereo e la scarsità di evidenze immediate di un attacco esterno. Tuttavia, alcuni tecnici e inquirenti avanzarono poco dopo sospetti diversi, ipotizzando l’esplosione causata da una bomba a bordo o da un missile. Nel luglio 1980 il ritrovamento di un mig 23 libico sui monti della sila venne riportato come possibile collegamento con gli eventi di ustica, alimentando la teoria di un coinvolgimento esterno in un contesto di tensioni internazionali.
Approfondimenti sulla commissione ministeriale
Nel biennio successivo, la commissione ministeriale stabilì che un cedimento meccanico non poteva spiegare del tutto l’incidente, favorendo la pista dell’esplosione. L’apertura a scenari più drammatici complicò il quadro investigativo. Il recupero dei resti dell’aereo nel 1984 permise nuove perizie, ma le conclusioni rimasero contraddittorie: alcune indicavano l’impatto di un missile, mentre altre ritenevano più probabile una bomba interna. La vicenda vide anche una forte polemica politica, con accuse ai magistrati e cambi di inquirenti, tra cui le dimissioni di vittorio bucarelli e la nomina di rosario priore.
anni di scandali, processi e depistaggi all’interno dell’aeronautica militare
Il caso ustica nel corso degli anni si arricchì di elementi legati a presunti depistaggi. Nel 1992 circa settanta tra ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica furono accusati di aver tentato di ostacolare le indagini con distruzione di prove e dichiarazioni false. Questo episodio rivelò che all’interno delle forze armate italiane si erano attivate manovre per nascondere informazioni riguardanti quella notte. Il dossier consegnato a priore nel 1997 racchiuse decenni di ricerche e testimonianze indicando che il dc9 volò per circa un’ora in condizioni di tensione altissima.
Le manovre dei velivoli militari
I velivoli militari che operavano in zona avevano spesso spento i transponder per non farsi riconoscere. Priore dispose nove rinvii a giudizio, con accuse pesantissime a quattro generali di attentato agli organi costituzionali aggravato dall’alto tradimento. Altri imputati erano passibili di falsa testimonianza. Ma i processi che seguirono portarono a assoluzioni e ridimensionamenti delle accuse, con la cassazione che nel 2007 archiviò definitivamente le posizioni dei militari coinvolti.
Sviluppi giudiziari e le richieste di risarcimento ai ministeri coinvolti
Nel decennio successivo la magistratura riprese la pista di nuovi accertamenti. Nel 2010 la procura di roma estese le indagini chiedendo rogatorie in paesi come stati uniti, francia, belgio e germania, cercando ulteriori elementi sulle manovre militari e la presenza di caccia in quella notte. Nel 2013 la corte di cassazione confermò l’ipotesi del missile come causa dell’esplosione, rigettando il ricorso dei ministeri della difesa e delle infrastrutture. La decisione obbligò i ministeri a risarcire le famiglie delle vittime, in linea con le pronunce precedenti del tribunale di palermo.
La complessità e la difficoltà nel trovare prove definitive continuavano a segnare il cammino giudiziario. Le collaborazioni internazionali non sempre si dimostravano trasparenti o sufficientemente complete per identificare con certezza i responsabili.
La richiesta di archiviazione dell’ultima inchiesta e il futuro del caso ustica
Nel marzo del 2025 la procura di roma ha sollecitato al gip l’archiviazione dell’ultima fase d’indagine aperta. Gli inquirenti hanno evidenziato come non sia stato possibile stabilire la nazionalità dei caccia in volo quella sera né identificare i diretti colpevoli. Nonostante numerose rogatorie internazionali e testimonianze, le risposte ricevute dai paesi interpellati sono risultate limitate nelle informazioni fornite.
Il giudice dovrà pronunciarsi entro novembre sul destino di questo filone investigativo. Il caso ustica, dopo quattro decenni e mezzo di ricerche, rimane ancora un enigma aperto. Il silenzio sugli esatti eventi di quella notte pesa su chi cerca giustizia per le 81 vittime dell’incidente.