La questione dell’inclusione delle persone LGBTQIA+ negli ambienti di lavoro resta un tema caldo nel 2025. Un’indagine condotta dal Williams Institute della University of California di Los Angeles mostra come una parte significativa di queste persone preferisca nascondere la propria identità a causa di timori fondati. Il sondaggio, realizzato tra il 2023 e il 2024 su quasi 2mila lavoratori LGBTQIA+, svela dati importanti sulle conseguenze di discriminazioni e molestie nei contesti professionali.
Il timore del coming out e le sue motivazioni
Il 33% delle persone LGBTQIA+ impiegate dichiara di evitare di fare coming out per paura di subire ripercussioni. Questa inquietudine non è generica, ma concentra la sua forza soprattutto verso le figure di vertice, come manager o supervisor: il 46% degli intervistati preferisce non dichiarare il proprio orientamento sessuale o identità di genere a questi responsabili. Il timore verso colleghi o team è invece meno pronunciato, riguardando solo il 21% dei casi.
Questo comportamento ha un impatto diretto sul benessere psicologico e la produttività delle persone. Il continuo senso di dover nascondere aspetti fondamentali di sé genera stress e insoddisfazione. L’insicurezza verso le reazioni dei superiori si traduce in un ambiente lavorativo meno sereno e aperto. Chi si trova in difficoltà rimane spesso in contesti nel quale non si sente autentico, con una conseguente riduzione della motivazione e dell’impegno.
Ambienti di lavoro e pregiudizi
Il contesto lavorativo dovrebbe invece garantire spazi di espressione liberi da pregiudizi, ma i dati indicano una realtà divergente. Molti lavoratori LGBTQIA+ vivono questo timore come un peso quotidiano, che influenza le loro scelte professionali e personali.
Discriminazioni e molestie sul posto di lavoro, un fenomeno diffuso
Una percentuale preoccupante di persone LGBTQIA+ denuncia di aver affrontato discriminazioni dopo aver rivelato la propria identità sul lavoro: il 39% riferisce episodi negativi legati al proprio coming out. Chi sceglie di non raccontare nulla subisce discriminazioni molto meno frequentemente, con una quota del 12%. Le molestie seguono un andamento simile, con il 42% di chi ha fatto coming out vittima di comportamenti molesti, contro il 17% di chi ha mantenuto segreta la propria identità.
Questi numeri derivano da quasi 2mila interviste distribuite nei vari settori e professioni. La presenza di discriminazioni e molestie dimostra quanto il problema sia radicato e non limitato a singoli episodi isolati. Le conseguenze vanno oltre il disagio individuale, implicando anche ripercussioni sull’equilibrio e la cultura aziendale.
L’effetto sul lavoro e sulla carriera
Chi subisce questi trattamenti spesso si ritrova a dover scegliere se restare in ambienti tossici o cercare nuove opportunità altrove. In media, il 15% degli intervistati ha seriamente preso in considerazione l’idea di dimettersi nel corso dell’ultimo anno, a causa proprio dell’intolleranza vissuta.
Strategie di copertura e la difficoltà di vivere apertamente l’identità
Una fetta consistente, il 58% degli intervistati, adotta tattiche di “copertura” per evitare problemi legati alla propria origine sessuale o identità di genere sul posto di lavoro. Questi comportamenti includono limitare le conversazioni sulla vita privata, modificare il proprio aspetto fisico oppure cambiare le abitudini quotidiane legate alla routine, come l’uso del bagno.
Queste azioni nascono dalla necessità di evitare conflitti, reazioni negative o semplicemente di sentirsi più al sicuro. Non è raro che chi sceglie di nascondere parti di sé si senta alienato o sotto pressione costante. Si crea così una doppia vita tra quello che si è realmente e ciò che si mostra fuori.
Conseguenze della copertura continua
Nel lungo termine, la necessità di questa copertura può portare a problemi di salute mentale, isolamento e calo della soddisfazione professionale. Anche le aziende, quindi, si trovano a doversi confrontare con la perdita di talenti preziosi proprio per le barriere invisibili che queste persone incontrano.
L’appello per ambienti di lavoro più inclusivi in italia
Marika Delli Ficorelli, responsabile HR di Zeta Service, sottolinea come il timore di discriminazioni non riguardi solo la tutela dei diritti, ma influisca direttamente sulla qualità delle risorse umane e sulla crescita aziendale. “Le imprese che permettono a ogni persona di esprimere se stessa senza timori ottengono maggiore creatività e stabilità.”
La sfida italiana, secondo Delli Ficorelli, è evolvere verso una cultura del lavoro che metta al centro la diversità ogni giorno, senza limitarsi a gesti simbolici o eventi celebrativi come il mese del Pride. È necessaria formazione, politiche chiare e ascolto costante per costruire contesti in cui persone LGBTQIA+ si sentano riconosciute e parte della comunità.
Pratiche inclusive e vantaggi aziendali
Inoltre, l’esperienza di aziende che adottano pratiche inclusive dimostra che questo approccio riduce il turnover, migliora la coesione e attira professionisti qualificati. Creare ambienti sicuri diventa così non un gesto di carità, ma una scelta pragmatica che risponde alle esigenze concrete del mercato del lavoro moderno.
L’inclusione rappresenta un punto chiave per lo sviluppo sostenibile delle aziende nel panorama italiano. Restare fermi su questo tema espone imprese e lavoratori a un rischio crescente di disallineamento rispetto a realtà sempre più globali e competitive.