Le cosiddette “Diffide Culla” firmate dall’avvocata Camilla Signorini hanno sollevato un acceso dibattito in diversi ospedali italiani. Questi documenti vietano l’uso delle mascherine per le mamme, la conservazione di campioni di sangue o dna del neonato e proibiscono vaccinazioni o tamponi senza il consenso esplicito dei genitori. Le diffide sono state inviate a strutture ospedaliere di varie regioni per conto di coppie in attesa, minacciando azioni legali con risarcimenti fino a 100mila euro in caso di inosservanza. La vicenda ha raggiunto i tribunali con denunce e segnalazioni da parte della Società italiana di neonatologia.
Contenuto e richieste delle diffide culla inviate agli ospedali
Le diffide inviate dall’avvocata mantovana Camilla Signorini contengono un elenco preciso di divieti rivolti alle strutture sanitarie. Lo scopo è tutelare i diritti dei genitori, ai quali viene chiesto di non sottoporre i neonati a determinate procedure senza autorizzazione esplicita. Tra le richieste spicca il divieto di costringere la mamma a indossare la mascherina durante il periodo post-parto. Viene inoltre vietata la raccolta e conservazione di campioni biologici del neonato, come sangue o dna, senza un’esplicita e documentata approvazione. Chi si occupa del neonato non potrà somministrare vaccini o effettuare tamponi senza consenso scritto dei genitori.
La lettera sancisce anche la possibilità di chiedere risarcimenti economici molto alti, fino a 100mila euro, per danni subiti in seguito a violazioni di questi divieti. Le diffide sono state recapitate a ospedali di diverse città italiane, coinvolgendo quindi un’ampia area di attenzione medica, in particolare nei reparti di maternità e neonatologia.
Le denunce della società italiana di neonatologia e le accuse contro l’avvocata
La Società italiana di neonatologia ha reagito con una denuncia formale nei confronti di Camilla Signorini. I vertici dell’associazione hanno segnalato diversi profili di possibili reati collegati alla diffusione e promozione di queste diffide. Tra le accuse spiccano l’esercizio abusivo della professione, truffa, pubblicazione di informazioni fuorvianti e procurato allarme pubblico. La denuncia è stata sporta in diverse procure, comprese quelle di Torino, sede di uno degli ospedali destinatari delle diffide.
I denuncianti contestano che molte delle prescrizioni contenute nelle diffide non corrispondono alla realtà delle pratiche ospedaliere né alle norme vigenti in campo medico e neonatale. In particolare si fa notare che alcune limitazioni rischiano di compromettere la tutela sanitaria e la sicurezza dei neonati e delle madri. Nell’ambiente giudiziario piemontese è emerso che alla struttura ospedaliera Sant’Anna di Torino sarebbe stata recapitata una di queste diffide per conto di una coppia residente in città.
Impatto e reazioni nella comunità medica e giuridica
Le diffide hanno creato tensioni tra genitori, medici e operatori ospedalieri. Molti professionisti sanitari hanno espresso preoccupazione per i limiti imposti nei protocolli standard di assistenza al neonato, sottolineando che il consenso, seppur necessario, non può ostacolare procedure ritenute essenziali per la salute. Il riferimento è in particolare agli screening neonatali obbligatori e alle vaccinazioni previste nel primo anno di vita. Le strutture ospedaliere si sono trovate a gestire un nuovo tipo di richiesta legale, che ha ampliato il confronto tra diritti dei genitori e doveri medici.
Riflessioni dal punto di vista giuridico
Dal punto di vista giuridico la vicenda ha aperto un dibattito sulla libertà di diffondere direttive legali senza un esame approfondito dei fatti medici. L’iniziativa dell’avvocata Signorini è stata vista come una forma di pressione che potrebbe causare incertezze e rallentamenti nelle pratiche cliniche. Le autorità competenti stanno valutando se la diffusione delle diffide abbia violato norme riguardanti la correttezza delle informazioni e la sicurezza pubblica, al momento di scienza medica.
Lo scenario resta in evoluzione. Mentre i tribunali esamineranno le denunce, le mamme e i neonati coinvolti restano al centro di un dibattito in cui si confrontano esigenze sanitarie e tutela delle libertà individuali. Gli ospedali italiani, da nord a sud, si preparano a gestire questa nuova questione legale che tocca aspetti delicati della salute pubblica e del diritto di famiglia.