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Il progetto return usa batteri per risanare un ex sito minerario in sardegna con metodi naturali

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Il recupero ambientale di aree inquinate da attività estrattive richiede soluzioni efficaci e compatibili con l’ecosistema. In Sardegna, il progetto RETURN sta impiegando batteri “buoni” per ripristinare un ex-sito minerario gravemente contaminato da metalli pesanti. L’iniziativa coinvolge enti di ricerca, università e istituzioni pubbliche con l’obiettivo di favorire la rigenerazione del territorio sfruttando meccanismi naturali e sostenibili.

Il degrado ambientale nel sito minerario di ingurtosu

Ingurtosu, nel mediocampidano sardo, è un’area storicamente utilizzata per le attività estrattive. Le estrazioni minerarie, specie di piombo e zinco, hanno lasciato un pesante impatto ambientale. Il terreno è contaminato da metalli pesanti che impediscono la crescita delle piante e alterano le caratteristiche chimico-fisiche del suolo. Questa situazione ha causato la perdita di biodiversità e una drastica diminuzione della qualità dell’ecosistema.

L’area fa parte del Parco Geominerario storico e ambientale, con riconoscimento UNESCO. Il sito è diventato un banco di prova per testare metodologie di risanamento meno invasive rispetto alle tecniche tradizionali, spesso di difficile applicazione e con impatti collaterali.

La collaborazione tra piante e batteri per il risanamento naturale

Dal 2011, l’ENEA e l’Università di Cagliari hanno condotto studi per verificare l’interazione tra piante spontanee locali e microbi presenti nel suolo contaminato. La collaborazione ha dimostrato come certe specie vegetali, come l’Elicriso, riescano a crescere più efficacemente se supportate dall’attività microbica del terreno. I batteri favoriscono processi biochimici che riducono la mobilità dei metalli pesanti, delegandoli a forme meno dannose per le piante.

Le ricerche hanno esplorato anche tecniche di fitorisanamento, sfruttando sia le piante che i microrganismi autoctoni per migliorare la qualità del suolo. L’obiettivo è sostenere la crescita vegetale in un contesto ostile, rendendo l’ecosistema più resiliente.

Il ruolo della bioaugmentation nel progetto return

Il procedimento centrale del progetto RETURN si chiama bioaugmentation. Prevede l’introduzione artificiale di ceppi batterici nativi, selezionati proprio dalla zona mineraria di Ingurtosu. Questi microrganismi, circa undici ceppi diversi, posseggono la capacità di vivere in ambienti contaminati da metalli pesanti come piombo e zinco.

Oltre a sopravvivere, i batteri stimolano la crescita delle piante producendo composti utili per l’attecchimento. Migliorano la biodiversità microbica e contribuiscono a stabilizzare il terreno, riducendo erosione e dispersione di sostanze tossiche. Non degradano i metalli, ma li immobilizzano, diminuendone la pericolosità e contribuendo alla rigenerazione progressiva del suolo.

Da contaminazione a ricrescita: come i batteri aiutano la flora locale

La contaminazione rende difficile la crescita delle piante nel sito di Ingurtosu. I batteri usati nel progetto sono in grado di produrre sostanze nutritive che facilitano la colonizzazione vegetale su terreni impoveriti o tossici. Questo supporto microbico permette, oltre all’Elicriso, a molte altre specie spontanee di radicarsi e di svilupparsi.

Il miglioramento del suolo migliora anche le proprietà fisiche e chimiche, aumentando la capacità di trattenere nutrienti essenziali. Ne risulta un terreno meno inospitale e gradualmente più vitale. L’azione combinata di piante e microbi costituisce così la base per un risanamento naturale, capace di ripristinare le funzioni ecologiche dell’area.

Gli obiettivi più ampi del progetto return

RETURN non si limita alla sola bonifica di siti minerari. Il progetto ha una missione più ampia: studiare e affrontare i rischi ambientali causati da fenomeni naturali e attività umane nel contesto dei cambiamenti climatici. Mira a migliorare metodi di prevenzione, monitoraggio e mitigazione di questi rischi, basandosi su dati scientifici e modelli predittivi avanzati.

Tra le priorità c’è l’utilizzo efficiente di dati e tecnologie per favorire la sicurezza e la sostenibilità delle comunità. RETURN cerca di consolidare il legame tra ricerca e applicazione pratica, valorizzando esperienze e competenze diverse attraverso vari enti pubblici e privati.

Le otto aree tematiche del progetto return

RETURN si struttura in otto “Spoke” o aree di lavoro tematiche. Ognuna affronta un aspetto specifico della gestione del rischio e della resilienza. Questi includono, tra gli altri, la valutazione degli impatti ambientali, la prevenzione di disastri naturali e antropici, il monitoraggio dei cambiamenti climatici, e lo sviluppo di tecnologie per la rigenerazione dei territori.

Le attività integrate offrono un quadro completo per comprendere e intervenire sulle complesse sfide ambientali del presente e del futuro. L’attenzione ai casi concreti, come quello di Ingurtosu, rappresenta un banco di prova per validare strategie replicabili in altre zone colpite da fenomeni simili.

Il progetto RETURN mostra come l’applicazione di metodi biologici possa diventare uno strumento concreto per il recupero ambientale, valorizzando le risorse naturali e compatibili con i cambiamenti climatici in atto.

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