
Il museo Met di New York continua a valorizzare l’arte indigena contemporanea affidando a Jeffrey Gibson un’importante commissione artistica. L’opera coinvolgerà le nicchie della facciata Beaux Art su Fifth Avenue e sarà esposta da settembre 2025 a giugno 2026. Gibson, artista nativo americano e membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, segue le orme di Kent Monkman, altrettanto noto per il suo impegno a favore di culture e identità marginalizzate.
Un progetto con forte valore simbolico
L’installazione di Gibson si intitola the animal that therefore i am, un riferimento al famoso saggio del filosofo Jacques Derrida. Il ciclo comprende quattro sculture figurative destinate a occupare le nicchie della facciata del Met. Il tema centrale richiama la connessione tra ogni forma di vita e l’ambiente che la circonda, un motivo ricorrente nel lavoro di Gibson. L’opera vuole riaffermare l’interdipendenza tra umano, animale e paesaggio, invitando il pubblico del museo a riflettere su questa relazione durante la visita.
Dettaglio sull’esposizione
L’esposizione sarà visitabile dal 12 settembre 2025 al 9 giugno 2026, periodo durante il quale le sculture dialogheranno con l’architettura storico-artistica del Met. L’installazione è la sesta commissione di questo tipo nella storia recente del museo. La prima risale al 2019 quando furono esposte le “cariatidi africane” realizzate dall’artista di origini kenyote Wangechi Mutu. Il Met ha scelto spesso di inserire nell’edificio opere di artisti nativi o di origini africane per arricchire il dialogo tra arte, storia e identità culturali.
La figura di jeffrey gibson e la sua arte
Jeffrey Gibson è nato nel 1972 a Colorado Springs e ha vissuto in diverse parti del mondo, inclusi Stati Uniti, Germania e Corea del Sud. È ufficialmente riconosciuto come membro della Mississippi Band of Choctaw Indians e ha radici cherokee da parte di antenati. La sua pratica artistica attraversa più discipline e include l’uso di materiali non convenzionali, come tessuti, legno e oggetti trovati. Le sue opere combinano elementi decorativi, simbolismi e testi con tratti astratti, creando effetti visivi forti che uniscono tradizione indigena a rappresentazioni contemporanee.
Il contesto artistico di gibson
Gibson si muove in un contesto artistico che mette al centro le sue origini BIPOC – acronimo usato per indicare Black, Indigenous e People of Color – esplorando il rapporto tra identità personale e collettiva. La sua arte riflette idee sul collegamento profondo fra le specie e il rispetto per la natura. Max Hollein, direttore del Met, ha sottolineato la sua importanza nel panorama dell’arte nativa contemporanea definendolo una figura pionieristica. Il suo lavoro è diventato un punto di riferimento per chi cerca modalità nuove di raccontare la storia americana attraverso linguaggi diversi da quelli tradizionali occidentali.
Il contesto politico e culturale dietro la scelta
L’affidamento di questo incarico a Gibson non è un caso isolato ma segue una linea adottata dal Met negli ultimi anni per dare voce ad artisti indigene. Nel 2019 durante la presidenza di Donald Trump, il museo aveva esposto le opere di Kent Monkman, un artista canadese di origine Cree, che aveva riscritto la narrazione della colonizzazione del nuovo mondo con un approccio critico e ironico.
Attualità e sfide politiche
Il tema dell’identità culturale e della rappresentazione è tornato di attualità con il nuovo governo statunitense. Il cosiddetto Trump 2.0 ha infatti promosso un bando per il padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia, cercando di valorizzare “eccezionalismo e innovazione americana” in chiave nazionalista. Gibson è stato una presenza di rilievo nel padiglione degli Usa nel 2024, confermando così il tentativo di coniugare l’arte contemporanea indigena con un discorso più ampio sulla cultura nazionale.
La scelta del Met rafforza dunque la centralità delle voci native e BIPOC all’interno di istituzioni di prestigio, dando spazio a una riflessione sull’identità e sulle radici culturali in un momento politico nazionale complesso. Le opere di Gibson, proprio come quelle di Monkman, portano avanti una narrazione che sfida visioni monocrome e invita a confrontarsi con la pluralità delle esperienze umane e storiche.
Il progetto del Met con Jeffrey Gibson si annuncia come un appuntamento che riconferma l’importanza dell’arte indigena contemporanea nel dialogo con la società e la memoria collettiva. Le sculture sulle nicchie della facciata diventeranno un elemento visibile e simbolico nella vita culturale di New York per quasi un anno.