
Gli attacchi aerei condotti dagli Stati Uniti contro i siti nucleari iraniani non hanno causato danni strutturali ai bunker sotterranei, ma hanno compromesso gli accessi di alcune installazioni. Secondo una ricostruzione del New York Times basata su informazioni dell’intelligence americana, le riserve di uranio arricchito erano già state spostate in località protette prima dei raid. Questo episodio ha influenzato, almeno temporaneamente, il progresso del programma nucleare iraniano.
Valutazioni dell’intelligence e stato dei siti colpiti
Il New York Times ha pubblicato dettagli basati sulle prime analisi dell’intelligence Usa che indicano come i bombardamenti non abbiano distrutto i bunker specifici dei siti nucleari. I raid hanno invece causato il blocco degli ingressi in due strutture sotterranee, limitando l’accesso al loro interno. Queste barriere fisiche riducono la possibilità di operare nei siti, ma non ne compromettono l’integrità . Le fonti descrivono l’azione come mirata soprattutto a tagliare le vie d’accesso e non a demolire completamente le infrastrutture.
L’intelligence segnala che l’Iran aveva provveduto a trasferire le scorte di materiale nucleare più rilevante in depositi segreti, probabilmente per metterle in sicurezza contro possibili attacchi. Questa precauzione ha reso inefficace un colpo diretto per eliminare le riserve di uranio arricchito, un elemento cruciale del programma nucleare iraniano.
Impatto sui ritmi del programma nucleare iraniano
Le indiscrezioni raccolte confermano le notizie diffuse in precedenza da Cnn, che indicavano un rallentamento del programma nucleare iraniano stimato in alcuni mesi. L’effetto dei raid ha infatti portato a una temporanea interruzione delle attività nelle strutture colpite, limitando anche la logistica e la mobilità all’interno dei siti.
L’intervento Usa ha imposto all’Iran una fase di riorganizzazione delle proprie risorse nucleari, costringendo a riposizionare materiali e personale. Tuttavia, le fonti suggeriscono che le attività non si siano mai fermate del tutto. Si tratta quindi di uno stop parziale e di breve durata, piuttosto che di una distruzione definitiva delle capacità tecniche.
Le dichiarazioni di donald trump e la realtà dei fatti
Le valutazioni preliminari, ben riportate dal New York Times, sembrano smorzare le affermazioni fatte dall’ex presidente Donald Trump. Trump aveva parlato di una distruzione totale e irreversibile dei siti nucleari iraniani con quei bombardamenti, ma i fatti mostrano una situazione più complessa.
L’efficacia dell’azione militare si è concentrata su un ostacolo alle attività di ingresso e uscita, senza colpire direttamente i depositi principali o gli impianti sotterranei. Questi ultimi conservano la loro struttura e potenzialmente potrebbero continuare la loro attività in futuro, una volta risolti i problemi di accesso. Le autorità americane sembrano quindi riconoscere che gli obiettivi tattici sono stati parzialmente raggiunti, senza però cancellare del tutto la capacità nucleare iraniana.
Un gioco più ampio di pressione internazionale
La mossa militare rientra in un gioco più ampio di pressione internazionale sul programma nucleare iraniano, ma al momento le criticità rimangono concentrate sull’effettiva distruzione degli impianti più sensibili. Le informazioni ottenute riflettono una situazione in evoluzione, in cui l’Iran mantiene margini di manovra mentre deve affrontare un rallentamento delle sue attività .