Il conflitto in medio oriente continua a lasciare tracce profonde non solo nelle vite umane e nelle geopolitiche, ma anche sull’ambiente. Gli scontri armati in aree come la striscia di Gaza, Libano, iran e Yemen stanno generando quantità consistenti di gas serra e comportando danni ambientali che si protrarranno per anni. Uno studio recente, condotto da gruppi di ricercatori del Regno Unito e degli stati uniti, ha misurato con precisione l’impatto climatico delle operazioni militari in questa regione dalla fine del 2023 fino ai primi mesi del 2025.
Principali effetti militari sull’ambiente in medio oriente
Le operazioni belliche in medio oriente hanno prodotto una vasta gamma di danni ambientali diretti e indiretti. L’abbattimento di foreste e la distruzione delle infrastrutture urbane contribuiscono ad aumentare le emissioni di anidride carbonica. Gli esplosivi rilasciati e il crollo di edifici contaminano le acque e i terreni, alterando gli ecosistemi locali e compromettendo la salute delle popolazioni. Questi effetti si sommano alla distruzione di impianti industriali e di reti di approvvigionamento idrico che, oltre alla crisi umanitaria, aggravano l’inquinamento.
I dati indicano inoltre un aggravamento delle condizioni climatiche nella zona, con possibili conseguenze sulle temperature medie locali. Danni a lungo termine come la desertificazione di alcune aree e la perdita di biodiversità sono motivi di preoccupazione per gli esperti ambientali. Il movimento di truppe pesanti e veicoli militari continua a compromettere ulteriormente il suolo, rendendo complessa la ripresa agricola.
Uno studio sulle emissioni di gas serra generate da conflitti in medio oriente
Le università di Regno Unito e Stati Uniti hanno stimato che le attività militari svolte nella striscia di Gaza, Libano, iran e Yemen hanno prodotto quasi 1,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica in un periodo di quindici mesi, tra ottobre 2023 e gennaio 2025. Il dato emerge da un confronto con 36 nazioni che emettono molto meno. Questo mostra quanto l’impatto del conflitto vada ben oltre la dimensione umana, interessando anche l’ambiente su scala globale.
Lo studio sottolinea l’assenza di obblighi per gli stati di comunicare le emissioni provenienti dalle operazioni militari all’interno del sistema di monitoraggio dell’Onu sui cambiamenti climatici. Questa lacuna normativa impedisce una completa valutazione delle responsabilità ambientali e limita gli interventi mirati alla riduzione delle emissioni causate dalla guerra.
Il progetto di ricerca indica che le emissioni legate alle attività militari in medio oriente sono destinate ad aumentare, soprattutto a causa dell’escalation recente tra israele e iran e delle possibili nuove operazioni militari.
Escalation del conflitto israele-iran e conseguenze ambientali
Il recente aumento delle tensioni fra israele e iran ha portato a un’escalation militare che aggrava l’impatto ambientale già grave nella regione. La scintilla è stata una risoluzione dell’agenzia internazionale per l’energia atomica che per la prima volta dopo vent’anni ha accusato l’iran di non rispettare i limiti sull’arricchimento dell’uranio. Stati uniti, francia, regno unito e germania hanno votato a favore di questa denuncia formale, motivata dalla presenza di uranio in siti non dichiarati e dall’aumento delle riserve di uranio arricchito al 60%.
Israele ha interpretato questa situazione come un segnale per lanciare attacchi mirati contro le infrastrutture nucleari iraniane. I raid aerei hanno colpito centri di ricerca, basi missilistiche e radar, con l’eliminazione di scienziati collegati al programma nucleare. L’iran ha risposto con attacchi missilistici limitati ma comunque letali contro obiettivi israeliani.
Intervento americano e prospettive di escalation tecnologica bellica
Con l’ingresso diretto degli Stati Uniti nel conflitto al fianco di israele si è aperto un nuovo capitolo negli scontri. Il recente attacco contro l’impianto Fordow, dove l’iran arricchisce l’uranio, ha mostrato i limiti dei raid convenzionali a causa della posizione sotterranea e protetta dalla struttura in cemento armato. Gli Usa stanno valutando l’uso di armi avanzate come il Robust Nuclear Earth Penetrator, progettato per penetrare strutture protette in profondità.
L’uso di queste armi porterebbe a una nuova dimensione del conflitto con rischi concreti per l’aumento delle emissioni radioattive e di gas serra. Il danno ambientale si moltiplicherebbe anche per le ricadute sulla salute umana e sulla stabilità climatica dell’intera area, con effetti difficili da stimare nel breve e lungo periodo.
Mettere a rischio le trattative future nella regione, soprattutto per il controllo nucleare e la cooperazione sui temi ambientali, rappresenta un’ulteriore complicazione a fronte delle conseguenze già pesanti sul pianeta. Il conflitto rimane una fonte crescente di problemi globali nel contesto di un’area già fragile e provata.