Alcuni percorsi universitari offrono maggiori garanzie occupazionali e retribuzioni più alte. Ma scegliere la facoltà giusta non può prescindere da una reale conoscenza di sé e dei propri obiettivi.
Capire quale laurea garantisce più opportunità lavorative è importante, ma non basta. Perché decidere cosa studiare non è soltanto una questione di numeri. È anche un atto di autenticità personale, che richiede ascolto, consapevolezza e capacità di guardarsi dentro. Ogni percorso ha il suo valore, ma solo quando rispecchia davvero chi siamo può diventare la base per una crescita vera, non solo professionale.
Alcune lauree offrono più sbocchi, ma la scelta deve essere consapevole
Secondo il più recente Rapporto AlmaLaurea, aggiornato al 2024, le percentuali di occupazione per i laureati italiani mostrano ancora un legame solido tra titolo di studio e possibilità lavorative. A cinque anni dalla laurea, in Ingegneria, Informatica, Medicina ed Economia, oltre il 90% dei laureati risulta occupato. In particolare, chi esce da corsi in Ingegneria industriale e dell’informazione raggiunge punte del 94,1%, seguito da laureati in ambito sanitario, architettura e ICT.
Questo non significa che altri percorsi non abbiano valore, ma i dati mostrano una chiara differenza: facoltà come Lettere, Arti o Psicologia, pur offrendo formazione di alto livello, evidenziano tassi occupazionali inferiori, spesso sotto l’80%. Le differenze emergono anche nei tempi di inserimento e nei livelli retributivi, a svantaggio di chi sceglie discipline umanistiche, almeno sul breve periodo.

Eppure, i numeri non raccontano tutto. C’è una variabile che nessuna statistica può misurare: il senso di appartenenza a ciò che si studia. La motivazione, l’interesse autentico, la volontà di investire in un’area che sentiamo nostra, fanno la differenza sul lungo periodo. Studiare ciò che “funziona” ma non ci rispecchia può portare a una carriera spenta e a una vita professionale priva di entusiasmo. La vera scelta vincente, oggi più che mai, è quella che unisce concretezza e vocazione.
Le retribuzioni variano, ma il futuro dipende anche dal contesto
A fare la differenza, oltre alla possibilità di trovare lavoro, è anche il livello di stipendio. I laureati in Ingegneria e Informatica superano facilmente i 2.000 euro netti mensili, mentre quelli in ambiti come Scienze dell’educazione, Psicologia o Servizi sociali si attestano in media sotto i 1.500 euro. Differenze che si ampliano nei primi anni di attività ma che, con il tempo, possono variare molto in base all’esperienza, alla specializzazione e al contesto.
Anche l’ateneo frequentato incide: alcuni laureati di università con maggiore reputazione riescono a inserirsi prima nel mercato. Ma più di tutto, conta la capacità di aggiornarsi, di adattarsi alle evoluzioni di un mondo del lavoro in continuo mutamento.
Secondo le previsioni di Unioncamere e ANPAL, entro il 2028 nasceranno quasi 4 milioni di nuovi posti di lavoro. Le aree più in crescita? Settori digitali, energetici e sanitari, ma anche profili tecnici con percorsi post-diploma come gli ITS, sempre più richiesti dalle imprese.
Laurearsi, oggi, non è più l’unica via per avere successo, ma resta una porta d’accesso privilegiata per molti lavori qualificati. Purché la scelta non sia solo strategica, ma anche intima, fondata sulla comprensione di chi si è e di dove si vuole andare. Perché nessun titolo, da solo, può colmare il vuoto lasciato da una decisione presa per abitudine o per pressione esterna.