L’agricoltura sta modificando il proprio volto per restare al passo con le esigenze ambientali e sociali contemporanee. La crescita dell’economia circolare in questo campo sta cambiando il modo di coltivare, produrre e distribuire cibo, puntando a ridurre gli sprechi e valorizzare le risorse. Il rapporto del Politecnico di Milano analizza come questa trasformazione coinvolga tutti gli attori del sistema agroalimentare, evidenziando sfide e opportunità emergenti.
Sfide complesse tra reddito, giovani e pressioni ambientali
L’agricoltura affronta una serie di difficoltà che mettono a rischio la sua capacità di produrre in modo sostenibile. Tra le maggiori preoccupazioni ci sono il calo del reddito per molti agricoltori e il ridotto interesse dei giovani nel proseguire le attività tradizionali. Questi problemi si sommano alle pressioni dovute al rincaro dell’energia e delle materie prime, che pesano sull’intera filiera produttiva.
Dal punto di vista ambientale, le risorse idriche richiedono protezione urgente, mentre la perdita di biodiversità in alcuni territori è già allarmante. A ciò si aggiunge il cambiamento climatico, che si manifesta con eventi più forti e frequenti, condizionando le stagioni agricole. In questo contesto, gli agricoltori cercano risposte calibrate fra innovazione tecnologica e metodi tradizionali, riconoscendo il valore di un’economia circolare capace di salvaguardare le risorse e rigenerare i sistemi naturali.
Innovazione e tradizione: una convivenza necessaria
In Italia, molte realtà agricole stanno adottando soluzioni che mescolano pratiche storiche con nuove tecnologie, con un occhio attento all’ambiente. Un esempio di innovazione è la produzione di pannelli isolanti con pula di riso, mentre tecniche come il compostaggio avanzato permettono di recuperare energia dai residui agricoli. Allo stesso tempo, sono in crescita metodi collaudati come le lavorazioni senza aratura, che mantengono la fertilità del terreno.
Paola Garrone, che coordina l’osservatorio food sustainability, sottolinea come l’integrazione di questi approcci rappresenti una strategia essenziale. Non si tratta solo di conservare le tradizioni, ma di studiarle e combinarle con strumenti moderni, per migliorare l’efficienza del sistema agroalimentare. L’economia circolare in agricoltura si traduce così nel riuso di scarti, nel riciclo e nella tutela del capitale naturale, parametri cruciali per una filiera sostenibile.
La diffusione delle pratiche circolari nelle aziende agricole italiane
La ricerca evidenzia che quasi tre quarti delle aziende agricole italiane con strutture giuridiche organizzate utilizzano almeno una pratica ispirata all’economia circolare. Questi sistemi prevedono l’impiego sostenibile delle risorse, evitando sprechi e favorendo il recupero. Il 53% degli agricoltori applica tecniche rigenerative, mentre il 48% utilizza risorse circolari come materie prime derivate da scarti, acqua riutilizzata ed energia rinnovabile.
Circa il 38% valorizza le eccedenze alimentari, recuperandole o donandole, e il 33% trasforma scarti e biomasse in fertilizzanti o in materia prima per altri settori. La dimensione dell’azienda influenza ma non determina in modo assoluto l’adozione di questi metodi: anche realtà piccole o medie dimostrano un’adesione alta, segno di un’attenzione che supera le barriere della scala produttiva.
Filiera corta e grande distribuzione: due modelli a confronto
La scelta tra filiera corta e grande distribuzione organizzata è tra i temi centrali della sostenibilità alimentare. I gruppi di acquisto solidale incarnano il modello basato sulla prossimità e sul rapporto diretto tra consumatore e produttore. Chi si affida ai GAS punta a prodotti freschi, di stagione e a un consumo più consapevole, valorizzando la produzione locale.
D’altra parte, la GDO offre comodità e prezzi più bassi grazie a economie di scala. Questi due modelli convivono nel mercato attuale e possono influenzarsi a vicenda. La filiera corta sprona la GDO a guardare con più attenzione all’origine e alla sostenibilità dei prodotti, mentre la grande distribuzione può introdurre pratiche più circolari per ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto ambientale.
Ripensare il packaging tra tutela, conservazione e comunicazione
Il dibattito sull’economia circolare non evita il ruolo del packaging alimentare, spesso additato come fonte di inquinamento da plastica. Il suo utilizzo però va analizzato anche sotto altri aspetti: protegge il cibo, ne allunga la durata e permette un trasporto sicuro, contribuendo indirettamente a ridurre gli sprechi alimentari. Inoltre ha funzioni informative importanti per il consumatore.
Barbara Del Curto, responsabile scientifica dell’osservatorio, ricorda che le normative europee come il Green Deal e il nuovo regolamento sul packaging puntano a un imballaggio circolare, tracciabile e sostenibile. La sfida è coniugare la riduzione dei rifiuti con la conservazione del prodotto e una comunicazione chiara per gli acquirenti.
Sostenibilità sociale: un aspetto spesso trascurato
Mentre si discute molto degli effetti ambientali dell’agricoltura, meno spazio ricevono le questioni sociali legate al settore. La competitività e la redditività restano fondamentali, ma la sostenibilità sociale riguarda il rispetto delle condizioni di lavoro, dei diritti umani e l’impatto sulle comunità. Il metodo social life cycle assessment valuta questi aspetti lungo l’intero ciclo di vita di prodotti o servizi.
Questa metodologia aiuta a riconoscere e gestire rischi sociali, promuovendo una progettazione responsabile delle filiere. La sua applicazione permette di evidenziare situazioni di sfruttamento o squilibri sociali, aprendo la strada a pratiche più etiche e sostenibili per tutti gli attori coinvolti.
Collaborazione tra attori diversi per risultati concreti
L’indagine del Politecnico evidenzia come la collaborazione tra agricoltori, distributori, amministrazioni e consumatori sia indispensabile per promuovere una filiera agroalimentare sostenibile. Un esempio concreto arriva dal Comune di Milano, dove gli hub aiuto alimentare nel 2024 hanno recuperato oltre 790 tonnellate di eccedenze, raggiungendo quasi 15mila nuclei familiari in difficoltà.
Marco Melacini, coordinatore scientifico dell’osservatorio, sottolinea che questo successo nasce dalla condivisione di competenze e relazioni fra i vari protagonisti. L’esperienza milanese punta a sviluppare ulteriori azioni basate sul confronto e sulla messa in rete, mostrando come l’unione tra pubblico e privato possa generare impatti sociali ed economici significativi.