Indagati i genitori di un ragazzo morto di tumore: il dramma della chemioterapia ritardata

Indagati i genitori di un ragazzo morto di tumore: il dramma della chemioterapia ritardata
La tragica vicenda di un ragazzo di appena 13 anni, deceduto all’inizio del 2024 presso l’ospedale San Bortolo di Vicenza, ha scosso profondamente la comunità locale e sollevato interrogativi sul delicato equilibrio tra responsabilità genitoriale e decisioni mediche. I genitori del giovane, una coppia di cinquantenni, si trovano ora sotto inchiesta con l’accusa di omicidio volontario, poiché si sostiene che abbiano ritardato l’inizio dei cicli di chemioterapia prescritti dai medici.
I sintomi e la diagnosi
La storia inizia nella primavera del 2023, quando il ragazzo comincia a manifestare sintomi preoccupanti. Dopo vari consulti specialistici, il medico consiglia l’avvio di un trattamento chemoterapico, ma la terapia non viene immediatamente avviata. La situazione si complica e, a causa della progressione della malattia, il giovane perde la vita circa un anno dopo la diagnosi. Questo tragico epilogo ha portato i servizi sociali a segnalare il caso all’autorità giudiziaria, dando inizio a un’inchiesta che getta un’ombra inquietante sulla condotta dei genitori.
L’inchiesta e le accuse
Il pubblico ministero Paolo Fietta ha recentemente emesso un avviso di conclusione delle indagini, rivelando che i genitori avrebbero ritardato l’inizio della chemioterapia per un periodo stimato tra i due e i tre mesi. Durante l’inchiesta, è emerso che i genitori avevano fornito agli inquirenti la cartella clinica del ragazzo e avevano risposto a numerosi interrogatori. Tuttavia, un consulente nominato dalla procura ha messo in evidenza una serie di omissioni che, secondo la sua relazione, avrebbero contribuito a ritardare l’inizio del trattamento, con conseguenze fatali per il giovane.
La difesa e le implicazioni etiche
La difesa, rappresentata dagli avvocati Lino e Jacopo Roetta, contesta le accuse, sostenendo che il consulente stesso avrebbe dichiarato che le possibilità di vita del ragazzino erano già compromesse. «È stato lo stesso consulente a sostenere che il ragazzino sarebbe potuto vivere solo altri due o tre mesi in più rispetto alla data del decesso», affermano i legali, sottolineando che la sorte del giovane era già segnata e che non esistevano reali possibilità di cura del tumore. Questa posizione mette in luce un dilemma etico profondo: fino a che punto possono essere ritenuti responsabili i genitori quando la malattia sembra inarrestabile?
Inoltre, gli avvocati della difesa hanno espresso il loro sconcerto per la gravità dell’accusa di omicidio volontario, affermando che è «un’enormità , ma quando mai un genitore vuole la morte del proprio figlio?» Fino all’ultimo giorno, i genitori hanno nutrito la speranza di una possibile salvezza per il loro bambino, cercando di ottenere tutte le visite e i trattamenti necessari.
Riflessioni finali
Il caso di Vicenza solleva interrogativi complessi non solo sulla responsabilità genitoriale, ma anche sull’efficacia del sistema sanitario nel supportare le famiglie durante i periodi di crisi. La questione non riguarda solo la salute del bambino, ma anche la capacità dei genitori di navigare in un mondo medico che può apparire opaco e intimidatorio. È imperativo che le istituzioni e i professionisti del settore riflettano su come migliorare la comunicazione e il supporto alle famiglie, affinché possano fare scelte informate senza sentirsi sopraffatti dalla dolorosa realtà della malattia.
Questo drammatico caso non è solo una storia di dolore e perdita, ma un’opportunità per avviare un dibattito più ampio su responsabilità , cure pediatriche e il delicato rapporto tra genitori e professionisti della salute. La speranza è che, attraverso la riflessione e l’analisi, si possano trovare strade migliori per affrontare situazioni così tragiche in futuro.