
Il racconto agghiacciante delle vittime del medico-sindaco Giovanni Sgroi: incubi che durano mesi
L’episodio che ha coinvolto Giovanni Sgroi, un noto gastroenterologo di 70 anni e sindaco di Rivolta d’Adda, ha scosso profondamente la comunità locale e sollevato interrogativi su temi di violenza sessuale e abuso di potere nel settore sanitario. Le accuse di violenza sessuale aggravata su almeno quattro pazienti hanno rivelato un lato oscuro di una figura pubblica fino ad ora rispettata. Il racconto di Beatrice, una giovane di 23 anni, ha acceso i riflettori su una realtà inquietante che molte donne affrontano.
La denuncia di Beatrice
Il dramma è emerso il 14 maggio 2024, quando Beatrice si è presentata in una caserma nell’hinterland milanese per denunciare il comportamento inappropriato di Sgroi. Dopo una visita al Centro medico polispecialistico di Pozzuolo Martesana, ha subito commenti inappropriati e molestie durante un’ecografia addominale. Le sue parole, «Hai un bel fisico» e «Sei carina», hanno creato un clima di disagio, culminando in abusi fisici. Questa testimonianza ha spinto le autorità a indagare più a fondo, portando al sequestro dei dispositivi elettronici del medico.
L’indagine e le altre vittime
L’analisi dei dispositivi ha rivelato ulteriori prove e ha portato alla luce altre tre vittime, inizialmente silenziose per timore di non essere credute. Una di loro ha dichiarato: «È un uomo molto potente», evidenziando il timore che circonda le figure di autorità . La gip Sara Cipolla ha sottolineato che Sgroi eseguiva pratiche non compatibili con un normale esame gastroenterologico, lasciando il proprio numero personale alle pazienti per ulteriori controlli. Questo comportamento ha sollevato interrogativi sulla sua professionalità e etica.
La violenza di genere nel settore sanitario
Il caso di Giovanni Sgroi ha messo in luce un problema più ampio: la violenza di genere nel settore sanitario. Le testimonianze delle vittime evidenziano il silenzio e la vergogna che molte donne affrontano quando si trovano di fronte a un’autorità medica. La paura di non essere credute è un sentimento comune che può portare a un silenzio prolungato. Tuttavia, il racconto di Beatrice ha incoraggiato molte donne a rompere il silenzio, creando un clima di sostegno reciproco.
La necessità di cambiamenti istituzionali
Il caso ha sollevato interrogativi sulla responsabilità delle istituzioni e sulla necessità di implementare misure di tutela per i pazienti. È fondamentale che i protocolli di sicurezza e le linee guida etiche siano rivisti e resi più rigorosi per prevenire abusi da parte di professionisti della salute. Inoltre, i sistemi di supporto per le vittime di violenza devono essere facilmente accessibili e ben pubblicizzati, affinché chiunque si trovi in una situazione simile possa trovare la forza di parlare.
La storia di Beatrice e delle sue coetanee rappresenta un appello a non sottovalutare mai il potere delle parole e l’impatto delle azioni di chi, indossando un camice bianco, dovrebbe essere un simbolo di cura e protezione. La società deve impegnarsi a garantire che ogni paziente si senta al sicuro e rispettato, specialmente nei momenti di vulnerabilità .