Panahi torna in Iran: la sua storia di tortura e resistenza

Panahi torna in Iran: la sua storia di tortura e resistenza
Cannes ha ospitato un evento straordinario con la presenza del regista dissidente iraniano Jafar Panahi, che ha fatto il suo debutto in un festival internazionale dopo 15 anni di persecuzione e incarcerazione. La sua storia è emblematica della lotta per la libertà di espressione in Iran, un tema che ha permeato la sua vita e la sua opera. Panahi, noto per i suoi film che sfidano le convenzioni sociali e politiche del suo Paese, ha presentato il suo ultimo lavoro, Un simple accident, in concorso per la prestigiosa Palma d’oro. Il film, che affronta temi di violenza e vendetta, ha commosso il pubblico e il regista stesso durante la sua premiere mondiale.
La trama di un semplice accident
Il film narra la storia di un torturatore che, in un incontro casuale, viene riconosciuto da un gruppo di persone desiderose di vendetta. Questo racconto, carico di tensione e critica sociale, è stato descritto da Panahi come un’opera clandestina e sovversiva, proprio come i suoi lavori precedenti. La sua partecipazione a Cannes ha suscitato numerosi interrogativi, in particolare sulla sua decisione di tornare in Iran, dopo che di recente è stato revocato il divieto di viaggio imposto dalle autorità.
“Appena finirò qui tornerò in Iran. Non ci penso per nulla ad espatriare altrove”, ha dichiarato Panahi, suscitando l’applauso dei giornalisti presenti. La sua determinazione a tornare nel suo Paese è un atto di coraggio e resistenza, che riflette la situazione di molti iraniani che quotidianamente affrontano il regime. “Il mio non è un caso speciale”, ha aggiunto, sottolineando che la lotta per la libertà di espressione è una battaglia collettiva.
Esperienze traumatiche e lotta per la libertà
La storia di Panahi è segnata da esperienze traumatiche. Ha condiviso con il pubblico la sua esperienza di detenzione:
- “Fui bendato, messo in una stanza buia, in totale isolamento.”
- “Mi era concesso di andare in bagno tre volte al giorno.”
- “Venivo interrogato per otto ore di fila.”
Le sue parole hanno rivelato la brutalità del sistema carcerario iraniano, in particolare quello dell’Evin, noto per le sue condizioni disumane e per le torture inflitte ai prigionieri politici. Durante gli anni di detenzione, Panahi ha anche intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro la sua incarcerazione ingiustificata, essendo colpevole solo di essere un artista che osserva e racconta la realtà di Teheran.
La sedia vuota e il panorama sociopolitico in Iran
La sua ‘sedia vuota’ ai festival cinematografici ha sempre rappresentato una mobilitazione della comunità dei cineasti, da Cannes a Venezia, a favore della libertà di espressione e della denuncia delle violazioni dei diritti umani in Iran. Nonostante l’attenzione internazionale, Panahi ha voluto sottolineare che il suo caso non è unico, ma rappresenta una situazione più ampia che coinvolge molti artisti e cittadini iraniani.
Il panorama sociopolitico in Iran è radicalmente cambiato, soprattutto dopo l’emergere del movimento Donne, Vita, Libertà, che ha visto molti cittadini scendere in strada per rivendicare i propri diritti. “Le donne che non indossano il velo affrontano enormi rischi, ma continuano a farlo”, ha affermato Panahi, riconoscendo il coraggio di queste donne e la loro determinazione a lottare per la libertà.
La presenza di Panahi a Cannes non è solo un momento di celebrazione per il suo lavoro, ma rappresenta anche un atto di sfida contro un regime che ha cercato di silenziarlo. La sua determinazione a tornare in Iran, nonostante i rischi, è un segno di speranza e resistenza in un contesto di crescente repressione. La lotta per la libertà di espressione continua, e la storia di Jafar Panahi è un capitolo importante in questa battaglia globale.