Dopo due anni senza televisione, la conduttrice racconta per la prima volta il distacco da Mediaset, la solitudine improvvisa, la vita a Londra, il ritorno a teatro e il ricordo doloroso della madre scomparsa.
Era il luglio 2023 quando l’azienda annunciava che Barbara D’Urso non avrebbe più condotto Pomeriggio Cinque. Un comunicato laconico parlava di nuovi progetti editoriali, ma nei fatti quella comunicazione segnava la fine del suo rapporto con Mediaset. «Fino al giorno prima ricevevo duecento messaggi, li ho contati. Il giorno dopo dieci. Spariti tutti». È uno dei passaggi più duri dell’intervista concessa a 7, il magazine del Corriere della Sera, dove la conduttrice racconta per la prima volta il vuoto lasciato da un’uscita di scena tanto improvvisa quanto silenziosa.
Non si è trattato solo di lavoro. La rottura è stata anche e soprattutto umana. Anni di relazioni, di salotti televisivi, di appuntamenti quotidiani davanti alle telecamere, svaniti. «Non potevo restare in Italia, troppo dolore», ammette. E infatti ha lasciato tutto ed è andata a Londra. Nessun resort, nessuna vacanza di comodo. Solo un appartamento in affitto, un college e giornate intere in aula, dalle otto del mattino fino al tardo pomeriggio. Una scelta rigorosa, quasi ascetica, che segnava un taglio netto con tutto ciò che era venuto prima.
La scomparsa dai radar e la fuga a Londra
Dopo l’annuncio ufficiale, i riflettori si sono spenti. Nessuna trattativa, nessuna offerta alternativa. Per una delle figure più presenti nel palinsesto italiano, il passaggio è stato radicale. In pochi giorni, Barbara D’Urso si è ritrovata da protagonista a fantasma televisivo. Il dolore, racconta, era troppo per restare a Roma o Milano. Ha scelto di ricominciare da capo. A Londra ha ritrovato una disciplina che sembrava lontana, fatta di studio, routine e allenamento mentale. Altro che fuga esotica. Nessun rifugio dorato, ma una quotidianità rigida, costruita per sopravvivere al vuoto.

Nel frattempo, ha riscoperto il teatro, ha fondato una società di eventi con un’amica e ha ricominciato a studiare danza classica, che definisce il suo vero strumento di salvezza. «Ho imparato ad attraversare il dolore e a riempire il vuoto», dice. E lo ha fatto lontano dai riflettori, senza il supporto delle vecchie conoscenze, con poche persone rimaste accanto. Il resto si è dissolto in fretta, lasciando solo gli affetti più autentici. Un’esperienza che ha separato, senza appello, la celebrità dal legame sincero.
Una lezione imparata da bambina
La capacità di gestire il dolore non è una scoperta recente. Risale all’infanzia, quando Barbara D’Urso ha perso la madre. Era appena una bambina, undici anni. La madre si ammala subito dopo la nascita del fratello. «Appena nasce mio fratello, mamma rientra dalla clinica, si mette a letto e non si alza più». Le diagnosticano il morbo di Hodgkin. E lei, piccola, capisce subito che qualcosa non va. «La prima cosa che chiedo entrando in casa è: “Come sta mamma?”». Non si aspetta la verità. Non è pronta a credere che la madre possa davvero morire.
Quel dolore, mai del tutto superato, ha lasciato un segno profondo. «Ero sicura che sarebbe guarita. Non era concepibile un mondo senza mamma». Quel mondo è poi arrivato, portandosi via la madre ma lasciando un’eredità fatta di resistenza. «Di lei ricordo il sorriso nonostante la malattia. Quel sorriso oggi è il mio». Una frase che riassume la sua cifra umana, più che professionale. In mezzo agli alti e bassi di una carriera esposta, è quel sorriso, imparato nel buio, a tenere tutto in piedi.