Lo smart working e i dirigenti incapaci

i dirigenti incapaci

Il tema dello smart working è molto discusso perché non è chiaro chi abbia realmente beneficiato di questo cambiamento. Cambiamento che, tra l’altro, è stato solo temporaneo visto che praticamente tutte le aziende hanno cominciato a far tornare in presenza i propri dipendenti. 

Sembra che in Italia la cultura del lavoro da casa fatichi a prendere piede e che la buona vecchia giurassica scrivania venga preferita da chi ha ancora in testa l’idea che le persone, per essere produttive, devono farsi chilometri nel traffico, impazzire per trovare un parcheggio ed essere tenute sotto osservazione diretta, come si fa nelle carceri con i detenuti.


Lo smart working e i dirigenti incapaci

Iniziamo con qualche numero perché l'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha mostrato quali sono i vantaggi economici principali di questa pratica lavorativa. Un'azienda che prevede due giorni di lavoro in remoto a settimana può tagliare i costi annui di 500 euro per postazione, questo se riesce a chiudere le aree inutilizzate e ridurre di conseguenza i consumi. Se si associa anche la decisione di optare per una sede dalle dimensioni più contenute, tale risparmio può aumentare fino a circa 2500 euro l'anno per ogni lavoratore. Incominciano ad essere numeri interessanti che potrebbero essere messi a bilancio, oppure utilizzati come premi da distribuire tra i lavoratori. D’altronde lavoriamo tutti principalmente perché abbiamo bisogno dei soldi per campare, e aumentare il denaro che viene dato a ogni dipendente non può che rendere più accettabile il dovere quotidiano.

Anche i dipendenti possono avere dei risparmi interessanti, sebbene minori. Se ipotizziamo due giorni di lavoro in remoto a settimana, si ridurrebbero tutti i costi legati agli spostamenti, come la benzina o l'abbonamento dei mezzi pubblici, ma anche ai pasti fuori casa e all’obbligo di aderire a determinati servizi per sopperire alla mancanza di tempo. In questa opzione ogni dipendente ha un risparmio medio che può arrivare fino a 1000 euro l'anno, anche se questo risparmio sarebbe in parte compensato dall'aumento dei consumi domestici, stimati in circa 400 euro annui. Naturalmente il guadagno principale per le persone sta nelle condizioni di vita (e lavoro) migliori, con la possibilità di gestire meglio la quotidianità, essere dei genitori presenti e ridurre il carico di stress giornaliero a favore della propria salute.

Dunque sono le aziende ad avere il risparmio più importante in termini economici, mentre per i lavoratori si tratta di ottenere condizioni di lavoro più umane. Un bel vantaggio per tutti, se non fosse che pochi hanno compreso i reali punti di forza di questa pratica, tanto che in Italia, secondo i dati del Ministero del Lavoro, i lavoratori che svolgono attività di smart working sono solo il 14% del totale e, in modo stabile, solo il 7%. Inoltre solo il 13% delle aziende prevede bonus o rimborsi (che non siano i buoni pasto) per i dipendenti che lavorano da remoto.

Come dicevo però le aziende stanno richiamando i lavoratori in presenza, e questo dimostra che la barriera più grande che bisogna imparare ad abbattere è quella culturale, perché, soprattutto nelle piccole medie imprese, è ancora predominante la cultura del controllo. In pratica vige la convinzione che solo il lavoratore controllato sia produttivo, mentre a chi ha autonomia decisionale è automaticamente meno affidabile e produttivo. Eppure basterebbe poco, basterebbe impostare il lavoro sotto forma di obiettivi da raggiungere con scadenze precise, ma questo richiederebbe un'organizzazione che la maggior parte dei dirigenti non è in grado di realizzare. Sorge il dubbio quindi che per sopperire all’incapacità di chi comanda, di ricoprire un ruolo organizzativo per cui è strapagato, finiscano per rimetterci i dipendenti, che continueranno ancora per molto tempo a lavorare come se fossero appena usciti dalla prima rivoluzione industriale. 


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