Ho spesso sentito sminuire il consiglio di “essere se stessi” perché da molti considerato come una sorta di slogan privo di un reale significato, una di quelle frasi da Baci Perugina che poi rispolveriamo per fare bella figura con gli altri.
In realtà “essere se stessi” è un precetto importantissimo, un vero e proprio stile di vita, ammesso che se ne comprenda il senso profondo. Credo che chi lo ridicolizzi non abbia veramente capito cosa si nasconda dietro queste semplice parole, ed è per questo che vale la pene riflettere insieme sul suo significato.
Cosa significa essere se stessi?
Nella vita siamo soliti indossare numerose maschere: in ufficio, con i clienti, gli amici, in famiglia e persino con l’amante. Diventiamo persone diverse e seconda dei contesti, perché con il capo dobbiamo apparire seri e affidabili, con i colleghi un po’ meno, con gli amici simpatici e spensierati, e con l’amante maci facoltosi. Anche la nostra spiccata tendenza a parlar male degli assenti, la dice lunga su cosa ci permettiamo di dire a certe persone, e di come ci comportiamo diversamente a seconda dei presenti.
Ora la vera domanda è: perchè mutiamo in questo modo? Beh, il motivo è che la società ha creato dei precisi modelli comportamentali per ogni situazione; ogni momento della nostra giornata è stato ormai categorizzato e ad ognuno di questi sono stati associati dei comportamenti più o meno adatti. In ufficio ad esempio la “regola” dice che devi essere vestito in modo decorso, con i clienti non devi osare volgarità e nei confronti del capo devi portare rispetto, anche se in realtà non lo rispetti. Con gli amici invece puoi vestirti casual, ubriacarti, dire le parolacce, ruttare al bar, e in fondo va bene se ti comporti come un bambinone troppo cresciuto.
È quindi la società ad imporci il comportamento e noi obbediamo silenziosamente: se così non fosse l’operaio veneto che il lunedì allieta l’intero cantiere con una straordinaria varietà di bestemmie, lo farebbe anche la domenica in chiesa, no? Dunque si tratta di un imposizione, che noi rispettiamo per educazione, oppure per convenienza.
Chi mette in discussione questa interpretazione porta spesso come argomentazione l’idea che noi non siamo una cosa unica, siamo più facce della stessa medaglia, e che è normale esprimere parti diverse di noi, in contesti diversi. Potrei anche essere d'accordo se fossimo noi a scegliere, ma il problema sta nel fatto che in moltissimi contesti è la società a dettare le regole, non noi. Quasi mai siamo liberi di scegliere se indossare l’una o l’altra maschera, siamo semplicemente obbligati a farlo, e la prova sta nel fatto che molti contesti ci stanno stretti e in essi ci sentiamo scomodi, tanto che non vediamo l’ora di liberarcene.
Essere se stessi quindi significa evitare, laddove ci è possibile, di piegarsi ai dogmi della società, e di costruirci una quotidianità dove non siamo obbligati a cambiare continuamente maschera e ad indossare quelle che detestiamo. Ne va anche della nostra salute mentale, perché a forza di impersonare figure differenti, rischiamo di non sapere più chi siamo veramente, cioè come ci comporteremmo se potessimo veramente scegliere. L'altro grande pericolo è quello di diventare ciò che non saremmo mai voluto diventare, per il semplice fatto di aver indossato per troppo tempo una sola maschera, costretti dalle circostanze. Oggi molte persone si identificano con il proprio lavoro esattamente per questo, perché per anni hanno impersonato quel ruolo, senza il quale non sanno più chi sono. Intendiamoci, non c’è nulla di vergognoso nel fare l’operaio o il promotore finanziario, ma bisogna chiedersi se ci piace essere identificati e riconosciuti come tali, oppure se in fondo al nostro cuore sentiamo di essere qualcosa di differente.
Insomma, come spesso accade, da un'analisi approfondita si comprendono tante cose e personalmente non credo che consigliare agli altri di “essere se stessi” sia pronunciare una frase fatta, ammesso che se ne conosca il reale significato.
Un esempio è quello di alcuni amici che quando sono in giro sono spensierati
RispondiEliminae ti fanno battute, ma quando sono in ufficio nella veste di colleghi non ti degnano neppure di uno sguardo.
Secondo me "essere sè stessi" è uno slogan: bisogna trovare un punto di equilibrio tra l'essere uno Zelig (Uno, nessuno e centomila) ed essere un monolite da "prendere o lasciare". L'uomo è un animale che ha paura della solitudine se si colloca fuori dal branco, un pò di sano comportamento mimetico fa parte dell'educazione alla vita sociale, evita le discussioni inutili ma, a furia di cedere non si sviluppano la personalità e l'assertività. Stranamente anche se l'essere sè stessi farebbe pensare ad una attività personale credo che sia invece una competenza sociale. E visto che l'essere umano ha una tendenza al conformismo se vuoi permetterti il lusso di non piacere a tutti dovrai sempre avere il plauso di un tuo "gruppo di riferimento". L'anticonformista solo non esiste, è sempre sostenuto da un gruppo di riferimento, anche minoritario.
RispondiEliminaSono allora un eccezione perché ruttavo e scorreggiavo anche a lavoro quando lavoravo in farmacia alla comunale 3 di Solbiate. Inoltre ho contagiato tutti .. anche il direttore dopo un po’ ha iniziato a ruttare e scoreggiare 😂😂... chiaramente quando non c’erano persone al banco 😂😂 per questo è nata una bellissima amicizia anche al di fuori del lavoro e certe volte mi chiedo perché sono tornato in Sicilia a lavorare in farmacia con mia madre 😢
RispondiEliminaNel lasso di tempo che non dedichiamo al lavoro penso sia salutare e indispensabile un comportamento mimetico (prendendo spunto da un altro lettore, che non vuol dire praticare amicizie disinteressate con tutti), servirebbe invece una prospettiva diversa quando parliamo dell'ufficio. Se per un attimo ci fermassimo ad analizzare il nostro comportamento, la prima cosa che verrebbe da domandarci è per chi sorridiamo tutto il giorno, riversando la sera a casa il nostro malessere soffocato durante l'attività dedicata alla produzione. Chi siamo veramente? L'essere servile e meschino nei confronti del potente (il padrone in ufficio) o il codardo che scarica le proprie frustrazioni sulla famiglia. Qui si potrebbe aprire una parentesi sulla filmografia dedicata a Fantozzi che bene rappresenta quanto il conformismo possa essere nocivo (alla fine il vigliacco Fantozzi maltratta sempre la propria famiglia, l'unica che realmente gli vuole bene).
RispondiEliminaPerché nell'azienda, nella fabbrica, il singolo dev'essere distrutto. Deve essere sostituito con l'impiegato-massa. Se un individuo ha un problema, la società ha un problema, e i problemi non devono esistere. Consumare quindi i rapporti umani come fossero merci. Una praticità molto cara ai padroni ("bisogna solo portare a termine il lavoro"), quella che annulla i rapporti umani in favore di un bene superiore che non coincide mai col tuo, del quale tu non potrai mai beneficiare o al massimo, ammesso che il padrone voglia concedertelo, potrai beneficiarne in una misera parte.
Gaber di domandava:
"Se un giorno noi cercassimo
chi siamo veramente
ho il sospetto
che non troveremmo niente"
All'inizio hai scritto pene al posto di pena. Comunque a parte questo piccolo errore del "razzo" bell'articolo!
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