Chi è resposabile per le morti sul lavoro?

Chi è resposabile per le morti sul lavoro?
Resposabile per le morti sul lavoro

L’articolo 35 della nostra costituzione dice che “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”, ma questa presunta tutela sembra essere un miraggio lontano, visto che (dati Inail) mostrano come ci siano mediamente 1500 morti sul lavoro l’anno, il che significa almeno 4 persone al giorno. Al giorno non al mese, non a settiman (che sarebbe comunque gravissimo), al giorno. E sono solo i dati ufficiali, che non comprendono tutti i lavoratori in nero, cioè almeno 300.000 persone.

Perché accade tutto questo, chi sono i responsabili e perché la sicurezza dei lavoratori non si trova al primo posto?


Chi è resposabile per le morti sul lavoro?

Si chiamano morti bianche, dove «l'uso dell'aggettivo "bianco" allude all'assenza di una mano direttamente responsabile dell'incidente». In altri casi, in particolare in agricoltura, si parla di morti verdi, ma la sostanza non cambia. 

Quest’idea che per le morti sul lavoro non esista un responsabile diretto è pura follia. Uno o più responsabili esistono e sono naturalmente quei datori di lavoro che non fanno il massimo sforzo possibile per permettere ai propri dipendenti di lavorare in condizioni di totale sicurezza. In Italia il lavoro è visto come una manna, qualcosa di raro che deve essere accettato senza discutere, perché “è già tanto se un lavoro ce l’hai”, pertanto gli operai accettano qualunque condizione pur di poter lavorare, anzi, se qualcuno alza la testa e fa notare che i macchinari non sono sufficientemente sicuri o certe attività troppo pericolose, viene considerato una “pecora nera” e in certi casi rischia anche di essere licenziato.

Purtroppo la prevenzione degli infortuni è considerata troppo spesso come un mero costo e quindi i controlli sono carenti e le aziende non fatto tutto quello che dovrebbero (e potrebbero) fare. Questo dimostra ancora una volta come nella nostra società i soldi vengano prima delle persone, cioè della vita, e non ci possiamo lamentare perchè in un sistema dove la competitività viene portata su un palmo di mano (anche dalle istituzioni stesse, nei loro bei discorsi di fine anno), è normale che un imprenditore investa solo laddove può generare profitto, e non spenda più dello stretto necessario per migliorare la sicurezza dei propri dipendenti.

Lo Stato dunque è il vero mandante delle stragi sul lavoro che, lo ripeto, non sono certo numericamente trascurabili. E visto che le morti sul lavoro sono sempre relative ai lavori più pesanti, alla fine sono le classi sociali meno abbienti a pagare le conseguenze di un sistema basato sulla competitività e sul profitto. Si è mai visto un banchiere morire mentre fa una videoconferenza o un notaio che si infortuna gravemente firmando un atto? Possiamo star pur certi che se fossero quelle le categorie più a rischio, con l’influenza e il potere che hanno, il problema verrebbe affrontato in ben altra maniera, ma visto che si tratta degli ultimi, della plebaglia, beh, chi se ne frega

E lo dimostra anche il fatto che il dibattito, sui giornali, emerge solo quando si verifica un incidente particolarmente grave, una storia che fa notizia. Dura una settimana e poi non se ne parla più, perchè è più conveniente non dire nulla, sai mai che qualcuno si accorga che vi è una responsabilità politica a monte di tutto, visto che negli ultimi anni (proprio dai nostri cari politici) sono stati dimezzati gli addetti ASL e gli ispettori del lavoro che dovrebbero verificare che tutte le normative vengano rispettate.

E allora quale soluzione si potrebbe adottare? Beh invece di multare il datore di lavoro che non si adegua, si potrebbe operare il meccanismo inverso, ovvero dare incentivi economici a chi si dimostra virtuoso: soldi che lo Stato regala a quelle aziende che acquistano macchinari più sicuri, fanno corsi di formazione e adottano politiche volte a migliorare le condizioni lavorative delle persone. In Italia esistono già incentivi INAIL di questo tipo, che coprono il 65% degli investimenti volti a migliorare la sicurezza sul posto di lavoro, ma non basta. Per un tema così importante dovrebbero coprire il 100%, come fanno con la riqualificazione energetica degli edifici, allora si che dimostrerebbero di avere a cuore la vita delle persone, prima del profitto, prima del business.


6 commenti:

  1. Ciao Francesco, ricordo che qualche mese fa purtroppo venne a mancare una ragazza mentre lavorava in fabbrica. Le televisioni parlarono per giorni di quest' incidente. Perché il suo caso ottenne risalto e gli altri morti sul lavoro no? Solo perché era una ragazza giovane e bella e la sua immagine andava bene per alzare gli ascolti. Perché, con tutto il rispetto per questa ragazza, bisogna fare differenze di trattamento mediatico tra i morti sul lavoro? Nessuno si interessa nei TG e nomina le decine di agricoltori che ogni anno muoiono schiacciati dal trattore, oppure i muratori che cadono dall' impalcatura. Parlano in maniera approfondita di una morte sul lavoro solo se fai comodo alla loro narrazione. Ciao, buona giornata.

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  2. Alcune precisazioni:
    1. Nel conteggio dei caduti sul lavoro sono incluse le "morti in itinere", cioè gli incidenti mortali accaduti durante il percorso casa-lavoro e lavoro-casa.
    Nel 2020 le morti in itinere sono state 214 su 1270
    2. Quasi un terzo delle morti nel 2020 sono legate al COVID
    3. Un banchiere non è un lavoratore dipendente perché possiede una banca.
    Anche un bancario, cioè chi lavora in banca, può morire in itinere.
    4. I notai sono lavoratori autonomi.

    Dati: Comunicato stampa INAIL del 10/2/2021
    https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dati-inail-infortuni-malattie-professionali-2020.html

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  3. Musica sul lavoro e lasciare una famiglia senza padre o madre non è ben vista agli occhi dei più, cioè perché succede questo sul lavoro cioè poca attenzione e all'età avanzata di chi lavora è tutto un insieme che non fa sicuramente bene.

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  4. Lavoro da anni e posso dire che quasi tutte le procedure aziendali volte ad affrontare le piu svariate problematiche vengono seguite solo in occasione di ispezioni da parte dei relativi enti certificatori, il giorno dopo tutto torna al minimo sociale. Le stesse RSU, laddove esistono, sono spesso conviventi con i datori di lavoro e finchè va tutto bene nessuno fiata. Sono sicuro che se ci fossero premi per chi risulta a posto ci sarebbe la corsa degli imprenditori per accapparrarseli inventandosi altre procedure false e di breve durata, come sopra ho detto. La realtà purtroppo è questa.

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  5. Troppo lavoro=troppa fretta nel lavorare=maggiore rischio di errori=maggiore possibilità di incidenti.
    Penso di avere riassunto la realtà di adesso di certe aziende che hanno molto da fare (comunque poche aziende).

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  6. La responsabilità delle morti sul lavoro è degli schiavi che non lavorano, fanno gli schiavi appunto.
    Il lavoro in Italia aveva delle regole ben definite una volta, gli schiavi le hanno spianate tutte accettando condizioni pietose e anti umane, e adesso ne pagano le conseguenze.
    Si chiama legge di causa - effetto.

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