Come Migliorare il Lavoro, Influenzando il Capo

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cambiare la propria condizione lavorativa
pilotando le scelte del proprio capo
Lo scopo di ogni bravo(?) manager è motivare al massimo le persone nel proprio lavoro, questo per evitare che cambino lavoro o siano poco produttive. I nostri dirigenti seguono appositi corsi di formazione su come governare e influenzare la plebaglia, e questo gli conferisce qualche arma psicologica per tenerci sotto scacco.

Oggi proveremo a ragionare al contrario: se invece di farci condizionare con trucchetti di bassa lega, imparassimo a riconoscere che “tipo” di manager che abbiamo di fronte, e sfruttassimo il meccanismo a nostro vantaggio? In questo articolo illustro alcune idee che per ottenere più facilmente quello che vogliamo dal nostro capo.


Le armi del potere come alleate


Se c’è una cosa che ho imparato da quando scrivo per questo blog, è che le idee migliori vengono leggendo molto e sviluppando quello che gli articoli esistenti non dicono. Ho iniziato quindi a studiare uno di quei manuali per top manager, dove vengono spiegate le strategie per rendere produttive ed efficienti le risorse, perché, ho pensato, se conosco la loro psicologia, sicuramente posso capirne il comportamento e magari sfruttarlo a mio vantaggio. Dice il Dalai Lama : “Dobbiamo imparare bene le regole, in modo da infrangerle nel modo giusto”, ed ecco cosa ho scoperto.

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Un manager ha il compito di gestire le persone e fare in modo che queste siano molto produttive e determinate a perseguire gli obiettivi aziendali. Tendenzialmente invece il lavoratore, se potesse, smetterebbe di lavorare, cambierebbe impiego, o comunque anteporrebbe la propria vita privata al lavoro stesso, perché solitamente in essa, si realizza molto di più. Soprattutto nelle grandi aziende, i dirigenti adottano strategie psicologiche basate sui bisogni primari delle persone, in modo da trasformare il lavoro in qualcosa di imprescindibile, e spingere inconsciamente il dipendente ad impegnarsi nel raggiungimento di un determinato obiettivo, cercando di motivarlo, spesso in modo subdolo e scorretto.

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Se impariamo a riconoscere questi trucchetti, possiamo incominciare a comportarci in modo tale da condizionare le scelte del nostro capo, ed ottenere quello che vogliamo; in breve possiamo trasformare  l'impiego che odiamo in qualcosa di più sopportabile Spesso le persone, quando non si trovano bene all'interno di un ambiente lavorativo, pensano subito a "cambiare lavoro" o, nei casi più estremi, a smettere di lavorare; poiché nel nostro percorso volto a cambiare vita, alcuni anni di lavoro sono indispensabili, forse possiamo elaborare una strategia per rendere il nostri obblighi meno pressanti.

Il primo aspetto da definire è quale modello di management la nostra azienda ha scelto di adottare; oggi ne esistono sostanzialmente due, uno vecchio stille è uno più moderno:

  1. La strategia del terrore e del controllo: le persone vengono trattate come meri numeri, tasselli non fondamentali all'interno della catena produttiva, ognuno si deve sentire perfettamente sostituibile in qualunque momento.
  2. La strategia della motivazione: le persone vengono incentivate a dare il massimo, coinvolgendole nei risultati dei progetti e cercando di valorizzare le capacità di ognuno, cioè dando sfogo al bisogno di creatività e soddisfazione che tutti abbiamo, facendo credere loro di essere importati all'interno dell’azienda.

Questi due modelli, nonostante siano diametralmente opposti, talvolta possono convivere all'interno della medesima azienda, perché il management avviene a più livelli, ognuno dei quali sceglie la strategia che preferisce adottare. E’ tipico dei top manager applicare la strategia del terrore, mentre è più probabile che il management di basso livello si focalizzi sulla seconda scelta; si crede che infatti che il management sia compatto e unito negli obiettivi aziendali, ma non è così, solitamente, a quei livelli, regna la confusione e l'odio reciproco.

E’ facile capire come, nel primo caso, i dirigenti riescano ad ottenere l’impegno dei dipendenti semplicemente perché questi temono di venir licenziati se non dimostrano di essere all'altezza del proprio lavoro, per cui tutti si danno più o meno da fare per tenersi stretto il proprio impiego. In realtà i manager sanno bene che, se licenziassero tutti, la ditta subirebbe un duro colpo, quindi basano la loro strategia più sulla minaccia, che sulla reale possibilità di attuare licenziamenti facili. Nel secondo caso invece la direzione adotta il metodo contrario; fa credere alle persone di essere indispensabili, così quest’ultime sento proprie le responsabilità e, credendo di essere le uniche detentrici di determinate capacità, s’impegneranno allo scopo di portare a casa risultati concreti. Non importa se il grosso del lavoro lo farà il dipendente, e il suo stipendio sarà forse un decimo di quello del dirigente che, in modo astuto, lo incita a rompersi la schiena; se il manager saprà far sentire importanti le persone, queste smetteranno di ragionare in termini economici e sposteranno i propri obiettivi sul piano dei bisogni.

Tutto questo è naturalmente un grande schifo e il fatto che esistano manuali che insegnano a certe persone come illuderne altre, allo scopo di manipolarle, è l’ennesima dimostrazione che oggi il modo lavorativo necessita di un grosso cambiamento e di un profondo rinnovamento.

Quello che i dipendenti spesso ignorano, è che molti degli atteggiamenti assunti dai propri capi, ricalcano un copione ben preciso, appreso durante un corso di formazione o (se va bene) un master in management e comunicazione ma, se ci riflettiamo bene, possiamo essere invece noi a condizionare le scelte dei nostri leader, assumendo i comportamenti dei modelli che loro hanno studiato.

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Come condizione il proprio capo


Una volta individuato a quale dei due modelli i nostri diretti superiori si ispirano, possiamo iniziare ad avvicendare svariati atteggiamenti, in modo da ottenere più facilmente alcuni vantaggi.


Il modello del terrore

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E’ tipicamente adottato da capi autoritari che si credono superiori alle altre persone, non solo nell'ambiente lavorativo, ma anche nella vita in generale. Diffidano di tutti, quindi passano allo scanner ogni parola che gli giunge all'orecchio; sono soliti mettere in difficoltà i propri dipendenti e vogliono avere il controllo su ogni passaggio del processo produttivo. Vivono su una linea di demarcazione molto sottile tra il proprio ego e gli obiettivi aziendali, e spesso credono che la buona riuscita di un lavoro, dipenda esclusivamente dal loro operato di manager. E’ facile individuare questi personaggi, perché solitamente ascoltano molto poco e non fanno che parlare di se; noterete infatti che, anche in conversazioni informali, non faranno altro che dire io, io, io. Non fanno quasi mai domande, perché credono di avere già tutte le risposte.

A questa fascia appartengono i manager peggiori e solitamente anche i più ignoranti; nella maggior parte dei casi si tratta di persone che hanno una formazione scolastica di basso livello, o una laurea che non centra niente con il ruolo che svolgono; hanno maturato la loro esperienza in una sola azienda, che magari è cresciuta rapidamente, e non capiscono l’importanza della formazione e della cultura. Solitamente più si è ignoranti più si “ignorano” i propri limiti. E’ doveroso infine aggiungere che, per ovvi motivi, la strategia del terrore funziona molto bene in tempi di crisi.

C’è solo un modo per ottenere quello che si vuole da queste persone, e cioè assecondarle in tutto, esattamente come si fa con i pazzi. Questa tipologia di manager non vuole avere a che fare con dipendenti intraprendenti e autonomi di cui fidarsi, ma di meri esecutori. La loro autorità non va mai messa in discussione, va sempre eseguito quello che viene chiesto, anche se illogico o non in linea con altri aspetti del proprio lavoro.

Quando ci si rivolge a manager autoritari va ricordato che la loro capacità di ascolto è limitata alle prime 10 parole che pronunciamo, quindi quello che diremo va ben pensato prima. Inoltre limitiamoci a proferire solo lo stretto necessario, perché essi godono delle debolezze delle persone, quindi non dobbiamo dargli modo di sentenziare su quello che gli comunichiamo. Guai poi sbilanciarsi in pareri o opinioni, loro vogliono avere a che fare con veri e propri robot da catena di montaggio, noi siamo solo degli ascoltatori e degli esecutori, non certo esseri umani che possono pensarla diversamente o proporre idee migliori, atte a cambiare la loro visione, già perfetta, del lavoro.

Se avete la sfortuna di avere a che fare con questa tipologia di capi (io l’ho avuta) purtroppo ci sono poche possibilità di cambiare il loro atteggiamento, quindi tanto vale cercare di avere vita facile, assecondandoli nella convinzione di essere le divinità che si credono, evangelisti del management e maestri di vita. Solo in questo modo guadagneremo il loro rispetto e risulterà più semplice ottenere piccoli traguardi e vantaggi, almeno mentre ci diamo da fare per cambiare lavoro, perché, obiettivamente, questa tipologia di manager è la peggiore in assoluto, e lascia poco margine per riformare la propria condizione di dipendenti, quindi tanto vale andarsene al più presto.

Ricordiamoci sempre che al lavoro dobbiamo sopravvivere, non vivere!

Il modello del motivatore

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Solitamente i manager moderni (e un po’ più giovani) che quindi hanno una formazione mirata e competenze precise, adottano un modello opposto a quello del capo autoritario. Anche qui non è difficile individuare chi appartiene a questo gruppo di leader, basti osservare come utilizzano il “noi” al posto del “tu”: “Dobbiamo raggiungere il tal obiettivo” oppure “Non siamo stati all'altezza delle richieste del cliente”, quando invece è evidente che sei tu che devi raggiungere un certo traguardo e che sei tu a non aver soddisfatto il committente. Nei corsi che hanno frequentato gli è stato spiegato che parlare al plurale, evita che le persone si sentano sotto accusa e allo stesso tempo trasmette maggior responsabilità, perché fa notare al dipendente come i propri fallimenti ricadano su tutta l’azienda.

Può essere anche utile notare come, invece di riferirsi al personale con l’appellativo di “dipendenti” essi utilizzano in modo strategico il termine “collaboratori”, per dare un’illusione di pari diritti nei confronti dei suoi sottoposti.

Siccome non siamo dei mentecatti e, oggettivamente, questi trucchetti sono un’offesa alla nostra intelligenza, vediamo di capire insieme come agisce questo tipo di manager e come pilotare le sue decisioni.

Il primo aspetto di cui solitamente si preoccupano, è quello di cercare di conoscere il più possibile le persone, quindi organizzano incontri e colloqui conoscitivi privati (soprattutto quando sono appena arrivati) e promuovono cene o attività extra lavorative. Non lo fanno perché gli piace stare con i propri dipendenti, o per farci un favore, ma al preciso scopo di stilare una mappa delle caratteristiche e dei bisogni di ciascuno di noi. Una volta completato il quadro infatti, valutano strategie individuali per riuscire a motivare al meglio ogni lavoratore; sanno bene che per manovrare i sentimenti e gli umori di una persona, prima bisogna conoscerla a fondo e a 360 gradi.

Anche per questi leader, noi, non siamo altro che numeri ma, invece che tenerci incollati alla poltrona con la minaccia della perdita del posto di lavoro, lo fanno facendo leva sulle nostre aspirazioni. Se infatti riescono a premere i tasti giusti, ci faranno sentire appagati e parte indispensabile di un grande progetto. Questa strategia è di gran lunga migliore di quella del terrore, perché, se un individuo si sente soddisfatto, difficilmente penserà al denaro, dando alla direzione la possibilità di ottenere ottimi risultati, pagano addirittura meno le persone. Nella strategia del terrore invece, i soggetti non vivono in un ambiente felice, pertanto il rischio che un dipendente cambi lavoro è piuttosto elevato ed (eventualmente) una delle poche armi per evitarne la dipartita, è promettere un aumento di stipendio.

Dicevamo dunque che il buon(?) manager sa capire i bisogni di ciascuno e dare il giusto quantitativo di carote ad ogni asino; siccome quello che vuole è trovare un modo per motivarci, possiamo sfruttare questa informazione a nostro vantaggio, al fine di ottenere ciò che desideriamo. In poche parole, se facciamo credere al nostro capo che per lavorare meglio abbiamo bisogno di qualcosa, molto probabilmente la otterremo. Il segreto ovviamente sta nel saper suggerire con discrezione quello che ci rende infelici, in modo che egli creda che l’aver intuito il nostro bisogno, sia frutto della sua spiccata dote di leader.

Questa è una delle migliori strategie per farsi spostare su progetti interessanti e innovativi, ma anche per ottenere un premio produzione.

Essere i manager dei nostri manager


Solitamente il lavoratore vede i propri manager come entità imperturbabili, detentori di segreti aziendali a quali lui non può mai accedere, tiranni dei piani alti. Quasi tutti i dipendenti si limitano a lamentarsi tra di loro, e non hanno idea di cosa possono concretamente fare per migliorare la propria condizione. Il primo aspetto da chiarire è che anche i leader sono comuni esseri umani, che la sera trovano la moglie incazzata, i figli che li trattano come falliti e la cena da preparare; hanno problemi ad andare in bagno e vivono in un costante stato di stress, dovuto alla necessità di dover difendere quotidianamente la poltrona. Anche loro devono far fronte ai comuni problemi della vita quotidiana, anzi, a questi si aggiungono i pesanti grattacapi derivanti dal ruolo ricoperto nell'ambiente di lavoro.

Spesso inoltre si tratta di persone molto ignoranti, che non fanno altro che applicare alla lettera gli insegnamenti di qualche corso di mezza giornata, abbastanza inutile, ma sufficiente a farli sentire come detentori della verità assoluta.

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E’ a questo livello che dobbiamo intervenire per spostare la lancetta della sopportazione verso il verde e provare ad ottenere qualche vantaggio, facendo credere loro che quelle quattro regolette che stanno applicando funzionano, e che quindi hanno il dominio sui propri sottoposti. In verità saranno loro stessi a darci quello che vogliamo, credendo di farlo per motivarci o controllarci, ignari di venir a loro volta manipolati da chi si rifiuta di essere trattato come un decerebrato.

Stiamo parlando di psicologia spiccia, più consona ad una comunità di orango tango, che ad un ambiente lavorativo composto da persone sveglie e intelligenti. Se il nostro manager crede realmente di poterci condizionare con tali mezzucci, forse non ha tutte le carte in regola per fare il capo.

Eppure, vi sembrerà incredibile, sui manuali di management spiegano esattamente questo.

2 commenti:

  1. Condivido l'impostazione, parte del tempo dovrebbe essere impiegato a "educare il capo" e in sostanza a stabilire con lui una relazione umana che ci permetta di migliorare le nostre ore passate in ufficio. Attenzione però a non sottovalutare "l'avversario". Spesso i responsabili vengono scelti per le loro superiori doti di gestione delle persone, vale a dire che ci troviamo ad avere a che fare con persone che hanno doti professionali e umane notevoli. Ma anche loro hanno punti deboli, sta a noi scoprirli e fare leva su di essi per dare un contentino a ego mediamente ipertrofici e in sostanza per ottenere non certo la promozione (questo è essere leccaculi e poi è l'esatto contrario di quello che uno dovrebbe fare) ma la possibilità di viversela un poco meglio al lavoro.

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  2. Dopo anni di lavoro, momenti belli e brutti, colleghi amici e nemici, capi e dipendenti, dopo averne viste di tutti i colori, mi sento di affermare e consigliare quanto segue: non litigate, non fate vertenze sindacali, non fate esposti, non sollevate polveroni aziendali o burocratici, perchè tutto ciò è lungo, faticoso, doloroso e deludente negli esiti. Fate direttamente una QUERELA PENALE alla persona, assolutamente senza preavviso scritto, verbale, psicologico. Altro che tattiche comportamentali. La differenza dalla vertenza è che la querela è subito davanti al giudice, ma proprio subito. Se il vostro capo commette un reato contro di voi il suo posto è la galera e il vostro la vacanza gentilmente offerta da lui. Uccio

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