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disoccupazione in italia: la colpa è anche
dei centri commerciali |
L'etnologo francese
Marc Augé li ha definiti
non-luoghi, spazi
in cui moltitudini di individui s’incrociano senza entrare in relazione, spinti
solo dalla necessità di consumare. Oggi scopriamo che contribuiscono ad
aumentare la
disoccupazione in Italia, perché principale causa della chiusura
di migliaia di piccoli negozi.
Ce ne sono già più di 2400 e molti altri in via di sviluppo.
Templi del consumo estremo, dove ci ammassiamo nei fine settimana, a spendere quei
soldi che abbiamo duramente guadagnato, sacrificando la nostra intera vita,
stanno diventando il luogo di ritrovo preferito delle nuove generazioni.
Centri commerciali: trappole
per i senza-tempo
Prima dovresti leggere:
10 trucchi per Sfuggire al Controllo Sociale
Se dovessi indicare una caratteristica che accomuni le vite
di tutti noi, opterei per la
mancanza di tempo; ognuno vive a proprio modo,
lavora nei settori più disparati (quando non è disoccupato) e, ogni giorno,
compie azioni di svariata natura, ma sicuramente tutti sentiamo il bisogno di
avere più tempo a disposizione.
La mancanza di tempo è una delle basi sulle quali vengono
costruiti i modelli di business moderni, molto di quello che oggi compriamo ci
viene spacciato come strumento per fare qualcosa in meno tempo rispetto a
prima; cellulari con decine di funzionalità integrate, automobili veloci,
elettrodomestici per velocizzare la preparazione dei pasti o la pulizia della
casa.
I centri commerciali nascono proprio cavalcando l'esigenza
di concentrare le nostre azioni nel minor tempo possibile, racchiudono in fatti
negozi di ogni genere, ristorazione, edicole e alimentari, il tutto al duplice
scopo di invogliarci ad eseguire le commissioni in un unico luogo, spigrendoci ad
spendere denaro in servizi che altrimenti ignoreremo.
Per questo motivo, generalmente, l’individuo preferisce
spendere i propri soldi nei centri commerciali. Lo stesso sistema che, tramite
il meccanismo schiavizzate del lavoro, ci ha privati del tempo libero, è stato
in grado di sfruttare la situazione a proprio vantaggio, pilotando le tendenze
dei consumatori e invogliandoli a passare i fine settimana in veri e propri
templi del consumo di massa.
Come creano
disoccupazione in Italia
A questo punto è molto semplice immaginare le conseguenze
dello sbocciare di migliaia di centri commerciali in tutta Italia: se il flusso
dei consumatori viene lentamente deviato verso queste strutture, i commercianti
dei piccoli esercizi indipendenti ne risentono in modo drammatico, tanto che
sono sempre di più i titolari di piccoli negozi che si vedono costretti a
chiudere attività e migrare verso queste strutture.
Poco male si direbbe, di certo non restano disoccupati, chiudono il loro negozietto in centro
e si spostano in luoghi con maggior afflusso di persone, potenziando il proprio
business e riuscendo a guadagnare più denaro.
Sfortunatamente non è così.
Nel codice civile italiano infatti esiste un cavillo nella sezione
dedicata alla regolamentazione dei centri commerciali, grazie al quale i contratti
firmati dagli esercenti che vi aprono un’attività all'interno non sono di locazione,
ma di ramo d’azienda e, proprio per questo, in caso di risoluzione del
contratto (inadempimento di una delle parti, impossibilità di lavorare,
eccessivi costi) al commerciante non spetta alcuna indennità, anzi, gli tocca pure
la penale e la perdita di ogni diritto sul negozio.
Considerando poi che un negozio, all'interno un centro
commerciale, costa mediamente 35.000 euro l’anno (un 100 mq per intenderci) più
i costi condominiali che fanno lievitare la cifra di un buon 30%, per un libero
professionista italiano, che in tempo di crisi rischia la disoccupazione, si somma anche
la possibilità di perdere molti soldi.
Si tratta, lo dico con grande tranquillità, di un vero e
proprio ricatto sociale; rubando clientela ai negozi tradizionali, i centri
commerciali spesso non lasciano altra soluzione al commerciante che spostarsi all'interno di uno di essi, obbligandolo però ad affrontare rischi elevatissimi.
D'altronde le teorie economiche lo dicono da sempre: lo
sviluppo del commercio al dettaglio non crea nuova occupazione ma sostituisce la
preesistente, facendo aumentare la disoccupazione.
Nuovi luoghi di
ritrovo che creano disoccupazione
Marc Augé li ha definiti non-luoghi, ma questi raramente
esistono in "forma pura": i luoghi e i non-luoghi non sono uno
l'opposto dell'altro, fra di essi infatti si creano numerose sfumature. Una
caratteristica però che accomuna tutti i non-luoghi, è che al loro interno ogni
cosa viene calcolata con precisione: il numero di decibel della musica, la
lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità
di informazioni che vi si possano trovare. Cito l’
IKEA come esempio lampante di
labirinto strategico, ma tutti applicano più o meno gli stessi trucchetti. Sono
spazi molto efficienti, con un altissimo livello di comfort e tecnologica
(porte automatiche, illuminazione, scale mobili) studiati cioè per non essere
vissuti con noia, ma per trasmettere alla massa di consumatori un’esperienza
positiva.
Negli ultimi anni si è quindi generato un paradosso che, in
un certo senso, va contro i dettami di Augé : le nuove generazioni di
adolescenti, nati e cresciuti nell'agio del consumismo, utilizzano i centri
commerciali come veri e propri luoghi di ritrovo. Non di rado mi capita di
sentire: "Andiamo al centro commerciale a passeggiare" oppure "Visto che piove,
è meglio trovarci direttamente al centro commerciale" o, peggio ancora, "Vediamoci
al centro commerciale che lì hanno l’aria condizionata".
L’esigenza di rendere questi luoghi il più attraenti possibile,
spinge i dirigenti a prediligere l’apertura di negozi in franchising,
notoriamente infatti il consumatore è confortato dal ritrovare, nei centri
commerciali, sempre gli stessi esercizi, perché attratto dalla certezza delle
marche a lui note o dei sapori che predilige. Inutile dire che questo sancisce
inderogabilmente la morte dei piccoli esercizi privati, i cui proprietari si
trovano costretti a sacrificar e la propria singolarità e professionalità, per
piegarsi alle leggi del mercato e non restare disoccupati.
Considerando che attualmente in progetto ce ne sono almeno
altri 164, si può solo concludere che la disoccupazione in Italia, almeno per
quanto riguarda gli esercenti, andrà aumentando. Ecco in dettaglio come sono
distribuiti.
Regione | n° centri commerciali |
Abruzzo | 57 |
Basilicata | 17 |
Calabria | 60 |
Campania | 122 |
Emilia-Romagna | 188 |
Friuli-Venezia Giulia | 55 |
Lazio | 172 |
Liguria | 58 |
Lombardia | 595 |
Marche | 66 |
Molise | 13 |
Piemonte | 253 |
Puglia | 100 |
Sardegna | 43 |
Sicilia | 116 |
Toscana | 174 |
Trentino-Alto Adige | 34 |
Umbria | 46 |
Valle d’Aosta | 7 |
Veneto | 293 |
fonte: Federcontribuenti |
The Dubai Mall
Per la modica cifra di 20 miliardi di dollari, a
Dubai
stanno ultimando il più grande centro commerciale del mondo, che attualmente
conta 1200 negozi, 16000 posti auto e si estende per quasi 400.000 metri
quadrati, cioè l'equivalente di 50 campi di calcio. L’afflusso si aggira
attorno alle 148.000 persone al giorno, tanto che nel 2011 è stato visitato da
54.000.000 di clienti.
Il
The Dubai Mall è il classico prototipo di “parco divertimenti
dello shopping” perché associa ai normali (si fa per dire) negozi, immense zone
di svago, come uno zoo sottomarino che vanta più di 33.000 specie di pesci, una
sala giochi di 7000 metri quadrati e ovviamente un cinema con 22 sale.
Perché parlare di questo centro commerciale? Beh
semplicemente perché incarna alla perfezione il non senso dello stile di vita
moderno. Dubai è stata costruita sul petrolio, quel liquame che ogni giorno
iniettiamo nelle nostre automobili, allo scopo di recarci al lavoro a produrre.
Lo paghiamo molto caro, ma la maggior parte di noi non ha grosse alternative.
L’immenso flusso di denaro che ogni giorno il mondo versa ai ricchissimi
sceicchi di Dubai (Italia più di tutti, visto il costo della benzina), viene
utilizzato per costruire e mantenere giganteschi templi dello shopping, come il
Dubai Mall, congegnati per attirare turisti da ogni parte del globo, in modo
che spendano lì i loro risparmi.
In pratica, non solo per tutto l’arco
dell’anno arricchiamo i magnati del petrolio, ma poi andiamo a spendere quello
che ci resta nei loro mega centri commerciali, rendendoli ancora più ricchi.
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Lo slogan che ci accoglie sul sito ufficiale |
La bella scritta "Welcome to Everything" che riecheggia
nell'hompage del sito sembra proprio parafrasare quanto detto finora, quasi a
prendersi gioco di noi: "Benvenuti nel
tutto" tutto quello che desideriamo…
Cosa possiamo fare?
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Andamento disoccupazione in Italia |
I centri commerciali
sono oggi il primo simbolo del consumismo estremo, strutture appositamente
costruite per incentivare la vendita di inutili beni di consumo, dei quali
potremmo fare tranquillamente a meno.
Come accade per ogni attività concepita
solo per lucrare il più possibile, anche i centri commerciali non guardano in
faccia nessuno, distruggendo la concorrenza e facendo aumentare la
disoccupazione in Italia, proprio perché causa del fallimento di
migliaia di piccole attività imprenditoriali indipendenti.
Purtroppo gli studi
dimostrano che questi non-luoghi stanno diventando centri di aggregazione delle
nuove generazioni che, cresciute assimilando alla perfezione le leggi della
società moderna, diventando incapaci di giudicare con occhio critico tali
strutture.
Il primo passo che
tutti dovremmo compiere è quello di evitare di recarci in questi luoghi e
direzionare gli acquisti attraverso canali che permettano a chi gestisce un’attività,
di realizzarsi nel proprio mestiere, con passione e serenità.
Dobbiamo smetterla
di comportarci come se fossimo topi attirati dall'odore del formaggio, decerebrati
che si fanno accalappiare da trucchetti più adatti alle scimmie che ad esseri
senzienti quali siamo. Siamo davvero regrediti a tal punto che, per un po' d'aria condizionata o un ambiente esageratamente riscaldato in pieno inverno, accorriamo per spendere soldi e sprecare il nostro tempo?
Tra qualche giorno,
quando impazziremo tra la folla che si riverserà nei centri commerciali, alla
ricerca dei regali di Natale, per poi comperare esausti una schifezza
qualsiasi, pur che sia, quanti si renderanno conto che questa insensata
malattia dell'acquisto sta causando danni irrimediabili a se stessi e ai loro
figli?
Spero davvero che tu ce la faccia a cambiare vita e, magari, a infondermi la forza di fare altrettanto.
RispondiEliminaNon arrenderti mai.
Un saluto
ciao Francesco,complimenti per il tuo blog...hai ragione sul fatto che non bisognerebbe recarsi nei centri commerciali (dove non si conoscono nemmeno i proprietari..o forse si...politici,multinazionali ecc) per andare controcorrente ma essendo loro a dettar legge sui mercati (attraverso il loro potere delle grosse quantità sulle ordinazioni dei prodotti e "accordi" fatti con chi produce/distribuisce) possono permettersi di fare anche bei sconti sul prezzo finale al cliente(che di certo non se la passa molto bene economicamente in questo periodo) e quindi a quest'ultimo risulta più conveniente rispetto a un negozio del centro paese che rischia magari la chiusura...
RispondiEliminaIn poche parole, più riescono a rendere la gente povera,più loro si arricchiscono...con conseguenze catastrofiche sulla piccola e media impresa...
sembra che a questi poteri forti,alimentati da mercati aggressivi,noi siamo inermi ma mia auguro che un giorno tutto questo finisca con un trionfo della giustizia sociale...