La Comunicazione Non Violenta Serve per Migliorare la Propria Vita

Migliorare la Propria Vita con la Comunicazione Non Violenta
Imparare a comunicare in modo non violento
Provare gioia nel dare e nel ricevere, fa parte della natura umana, tuttavia la società in cui viviamo ci ha insegnato a comunicare in un modo completamente sbagliato, che porta a ferire gli altri e a favorirne il distacco. Ognuno di noi penserà: “Beh quello non sono io, io sono gentile, simpatico”, ma non è così, si tratta di atteggiamenti che non controlliamo e che non sappiamo di assumere.

La comunicazione non violenta, che non ha nulla a che vedere con concetti come gli insulti o i litigi, serve a migliorare il proprio modo di porsi nei confronti di chi ci circonda, al fine di trovare più facilmente l’amicizia e l’amore.


In questo articolo riassumo quello che ho imparato di questo importante concetto e come possiamo utilizzare questo tipo di linguaggio per ottenere più facilmente quello che desideriamo, nella vita, nell'amore e sul posto di lavoro.


Di cosa si tratta


Le parole che, ogni giorno, scegliamo per esprimerci e per manifestare sentimenti e stati d’animo, sono la finestra attraverso la quale gli altri ci vedono e, al contempo, un’arma estremamente potente, capace di far star bene o male gli altri, farci amare o farci odiare e trasmettere un’immagine di noi veritiera o falsata.

Ogni giorno, senza perlopiù senza rendercene conto, tessiamo una tela di rapporti modellati proprio dal “modo” in cui diciamo le cose e, credetemi, quasi sempre le diciamo nel modo sbagliato. Facciamo subito alcuni esempi per capire a cosa mi riferisco, sottolineando, per ognuno, le conseguenze che derivano dal non conoscere i “modi” della comunicazione non violenta.

Se, per strada, incontriamo un delinquente, lo annoveriamo come “cattivo” oppure, se ci sentiamo buoni di cuore, come persona che non ha avuto opportunità o le ha perse, ed ha finito per rubare o uccidere. Possiamo essere duri oppure aperti e benevoli, ma in entrambi i casi stiamo dando un giudizio. Fin da piccoli ci viene insegnato a giudicare, quando, nelle fiabe, il buono di turno sconfigge il cattivo, aspetto che è generalmente ritenuto positivo, cioè il buono ha ragione il cattivo ha torto, quindi va punito. Quando giudichiamo, ragioniamo in termini di “quello che non va negli altri” così accade che, se la nostra ragazza ci chiede più affetto, la etichettiamo come “dipendente ed esigente” mentre se siamo noi ad avere bisogno d’amore, allora lei diventa “insensibili e distaccata”. S’intuisce che questa visione delle cose è egocentrica e mette gli altri nelle condizioni di compiacerci, ma a caro prezzo, perché, se la nostra compagna, invece di pensare alla propria felicità, pensa prevaletene alla nostra, finirà per essere infelice e il rapporto non andrà mai bene.

Un altro esempio utile ad comprendere la forza della comunicazione non violenta, è la nostra spiccata tendenza a fare paragoni, modo di fare che ci viene inculcato dalla televisione, dove, quotidianamente siamo costretti a confrontare noi stessi e la nostra vita, con modelli irraggiungibili di bellezza e successo. Tutti coloro che hanno l’abitudine di aspirare ad un determinato modello, finiscono inevitabilmente per essere infelici, perché non potranno mai raggiungerlo e, per quanto tempo e denaro impiegheranno, si ritroveranno certamente frustrati e insoddisfatti.

Il terzo ed ultimo esempio di “modi di fare” comunemente considerati “normali”, ma altamente deleteri per la nostra felicità, è la tendenza che abbiamo di comunicare i nostri desideri sotto forma di pretese. Questo è particolarmente vero per quelle persone che ricoprono ruoli di responsabilità, come potrebbe essere un dirigente d’azienda. Un capo, generalmente, crede che il suo mestiere sia quello di fare il modo che gli altri “si comportino bene”, che siano produttivi e che facciano il proprio mestiere ma, agendo in questo modo, si ritrova sistematicamente ad incassare umilianti lezioni di vita. Come si può pretendere di imporre un certo modo di fare, a persone che, per venti, trenta o quarantanni, hanno agito in maniera differente? Si può sortire un effetto temporaneo, ma poi, se non le si sta con il fiato sul collo, queste persone tornano alle loro abitudini. Allorché scattano le punizioni, che tipicamente fanno più male a chi le impartisce che a chi le subisce, perché quest’ultimo troverà conforto tra i suoi simili, a loro volta costretti ad agire in modo diverso da come vorrebbero. Il capo invece non farà altro che fomentare l’odio e il risentimento nei suoi confronti, riuscendo a comandare solo tramite la strategia del terrore, in una spirale di “violenza” sempre crescente.

Ci sono modi diversi di comunicare e di ottenere quello che si vuole: la comunicazione non violenta serve esattamente a questo, ad ottenere quello che vogliamo in modo semplice, ponendo attenzione a “come” diciamo le cose, in modo da lasciare che tutti siano felici. Andiamo a scoprire quali sono le strategie giuste da adottare, per migliorare la propria vita.


Separare l’osservazione dalla valutazione


E’ molto importante, nell'uso della comunicazione non violenta, comprendere bene la differenza tra “osservare” e “valutare”; immaginiamo di avere a che fare con una persona logorroica, cioè che parla in continuazione e non ci lascia il tempo di dire la nostra, annoiandoci. Se gli comunicassimo che “parla troppo”, cosa otterremmo da lei? Probabilmente si offenderebbe o, in qualche modo, opporrebbe resistenza giustificandosi o negando che sia vero. Avremmo quindi fallito nel nostro intento di migliorare il rapporto, perché abbiamo generalizzato, giudicandola. Se invece ci riferissimo a lei in modo circostanziale, cioè contestualizzando e riferendoci ad una particolare situazione, avremmo più chances di successo.

Ad esempio, se dicessimo: “Vorrei che mi dessi il tempo di rispondere a quello che hai appena affermato” comunicheremmo il nostro disagio, faremmo notare che “sta parlando troppo”, ma avremmo agito in modo gentile ed accomodante, probabilmente evitando che l’altro si offenda, raggiungendo l’obiettivo. A nessuno piace essere giudicati, soprattutto con assolutismi esagerati come “Sei sempre in ritardo”, quando magari non è vero che ci fa “sempre” aspettare, magari è arrivato tardi solo due o tre volte di seguito, ma noi lo abbiamo già inquadrato e giudicato per benino.

S‘intuisce quindi l’importanza di costruire ed utilizzare un vocabolario adeguato, argomento del prossimo punto.


Il vocabolario della comunicazione non violenta


Molti non se ne accorgo ma, quando comunicano con gli altri, non riescono a farsi capire perché non esprimono con chiarezza ciò che desiderano. Si sentono frustrati perché ritengono di non essere compresi, ascoltati o addirittura tenuti in considerazione, credendo che siano gli altri a non curarsi di loro, quando invece spesso sono loro stessi a non saper comunicare quello che vogliono. Mi duole dirlo ma la recente “Protesta dei Forconi” mi da lo spunto per mostrare come, l’assenza di comunicazione non violenta, rischi di rendere vani anche gli intenti migliori.

Abbiamo assistito ad un fenomeno molto forte: migliaia di persone che protestavano, esternando il proprio disagio. Seguendoli mi sono reso conto che la loro debolezza stava proprio nel non essere in grado di comunicare i loro veri bisogni. Probabilmente nella loro testa avevano chiaro ciò che volevano ottenere, ma non sono stati capaci di comunicarlo, tanto che, quando intervistati, parlavano prevalentemente di quello che “non volevano”, piuttosto che di quello che “volevano”: “Siamo stufi di questo Governo che non fa nulla per noi”, “Basta, non vogliamo più che il popolo sia alla fame”, “Non è possibile che abbiano dato i soldi alle banche invece che agli imprenditori”, tutte cose vere, ma è più facile ottenere dei risultati se si dice chiaramente quello che si vuole, invece di quello che non si vuole.

Se parliamo di rapporto uno-a-uno, tra amici, colleghi o tra marito e moglie, l’utilizzo della comunicazione non violenta assume un ruolo determinante; c’è una storiella simpatica che fa capire l’importanza di “dire bene” quello che si desidera.

Una moglie, che si sente trascurata, chiede al marito di trascorrere meno tempo al lavoro, il marito è d’accordo e, il giorno seguente, torna a casa dicendo di essersi iscritto ad un torneo di calcetto!

La moglie avrebbe dovuto esprimere meglio i propri sentimenti, senza dare per scontato che, il tempo sottratto al lavoro, avrebbe voluto venisse dedicato a lei. L’esempio è volutamente estremizzato, ma sono molte le situazioni in cui non otteniamo quello che desideriamo, semplicemente perché non ci esprimiamo nel modo corretto. Nell'esempio sarebbe bastato dire: “Ho bisogno che tu trascorra meno tempo al lavoro” per far capire al marito i propri sentimenti, mentre un “Credo che dovresti passare meno tempo lavorando” non esprime il medesimo concetto.

E’ dunque il nostro vocabolario che va modificato, pertanto vediamo quali sono le parole e le espressioni tipiche della comunicazione non violenta, ovvero la strada giusta per creare rapporti sinceri, armoniosi e privi di malintesi.


Quali sono le parole giuste da usare


In primo luogo occorre smettere di utilizzare le forme impersonali, cioè evitare frasi come: “L’ho fatto perché dovevo”, “Mi ha obbligato il capo”, “E’ la legge a dirlo”, “Non sono capace di…” cioè tutte quelle forme di comunicazione, che tendono a sminuire le nostre responsabilità, attribuendo a qualcun altro (o a forze “superiori” ed incontrollabili) i moventi delle nostre azioni. Se iniziamo ad esprimerci attribuendo a noi stessi le scelte, lentamente smetteremo di fare quello che non ci piace, perché prenderemo coscienza dell’esistenza di un’alternativa, rendendo la nostra vita molto più felice.

Quando desideriamo qualcosa e dobbiamo comunicarlo all'altro, sostituiamo la parola “voglio” con “ho bisogno”; questo semplice accorgimento farà in modo che gli altri percepiscano la nostra richiesta come qualcosa di cui necessitiamo realmente per stare meglio, e non un capriccio o una pretesa, alla quale si sentano obbligati a dare seguito. La comunicazione non violenta ci insegna che le richieste sono percepite come pretese, quando chi ascolta crede che sarà punito o ci deluderà, se non esaudisce il nostro desiderio; questo non porta armonia e amore tra le persone, ma tensione.

Il terzo accorgimento è quello di esprimere con maggior precisione le emozioni, di modo che, chi ci ascolta, sia in grado di capirci completamente. Questo si ottiene smettendo di utilizzare termini come “bene” o “male” e sostituendoli con vocaboli mirati. Ad esempio, se diciamo “oggi sto veramente bene”, la parola bene non identifica esattamente il nostro stato d’animo, perché può voler dire che stiamo bene fisicamente, mentalmente, che abbiamo superato un problema, che siamo riposati, sollevati e un gran numero di altre emozioni. Allo stesso modo, se diciamo “Ieri sono stato male” non è chiaro se si tratti di un male fisico o legato ai sentimenti. Se usassimo termini come “oggi mi sento in gran forma fisica” oppure “ieri ero arrabbiato perché…” saremmo certi di essere capiti.

Una volta compreso come esprimerci, siamo pronti a metterci nei panni dell’altro, in modo da capire bene quello che intende dire, prima di dire la nostra.



Sapere che l’altro non sa


Siccome ora sappiamo che gli altri hanno difficoltà ad esprimere i propri bisogni, possiamo usare la comunicazione non violenta per essere certi di aver capito cosa vogliono e, in seguito, comunicare con loro in modo corretto e veritiero. Possiamo essere bravi quanto vogliamo a scegliere le parole giuste, ma se non abbiamo capito quello che l’altro intende comunicarci, non arriveremo mai ad instaurare con esso un rapporto basato sulla reciproca comprensione. Per farlo usiamo una tecnica molto semplice, cioè ricalcare quello che ci sta dicendo, usando parole differenti ma esprimendo lo stesso concetto. 

In un’ipotetica conversazione con il nostro partner ci viene detto: “Mi sento trascurata”. Riconosciamo che si tratta di una frase vaga, che non identifica bene il problema, pertanto non riusciamo a comprendere i veri sentimenti del nostro partner. In casi come questo, invece di addentrarci in una discussione in cui non faremmo altro che cercare di giustificarci, ricalchiamo le affermazioni con frasi del tipo “Ti senti frustrata perché non ti dedico abbastanza tempo?” e ci accorgeremo che le persone specificheranno meglio le proprie richieste, magari dicendo: “Sì, vorrei che trascorressimo più tempo insieme”, il che da già un indizio sul fatto che “trascurare” non significava (ad esempio) il voler ricevere regali, ma solo stare più tempo insieme. Con una semplice frase abbiamo evitato l’errore di tornare a casa con mazzo di rose rosse che, per quanto gradito, non era richiesto e non aiuta di molto a cambiare i sentimenti del nostro partner, il quale avrebbe preferito trascorre una serata insieme.

Più, in una conversazione problematica, si risponde ricalcando i sentimenti esposti, maggiore è la probabilità di comprendere a fondo quello che ci viene richiesto.

Questa tecnica, tipica della comunicazione non violenta, porta anche ad un secondo beneficio, ovvero quello di far sentire l’altro compreso ed ascoltato, favorendone l’apertura al dialogo.


Conclusioni


La comunicazione non violenta richiede un po’ di pratica e un certo livello di autocontrollo, perché, per metterla in atto, occorre smettere di reagire d’impulso e riflettere su come ci esprimiamo. Il segreto sta tutto nel ricordarsi che, nel rapporto con gli altri, quello che conta non è uscire vincitori o apparire migliori, ma solo capire ed essere capiti, in modo da tessere legami sinceri e armoniosi.

Purtroppo, la società in cui viviamo non favorisce rapporti d’amore tra le persone, siamo abituati a parlare per assolutismi (“E’ sempre colpa sua!”) e ricercare soluzioni finali (“Si fa in questo modo”) quando invece il mondo è un continuo divenire, dove tutto è relativo e nulla dura per sempre. Adottare un linguaggio in linea con la realtà di ogni giorno, è l’unico modo per aprirci e indurre gli altri a fare altrettanto, un atteggiamento che può solo portarci ad essere veramente felici.

5 commenti:

  1. Ciao Francesco. Già da parecchi anni adotto, anche con mio marito, la tecnica dell'ascoltare, con attenzione e guardandolo in faccia, senza parlare se non quando l'altro fa una pausa così lunga da potermi permettere di replicare. Certo, non sempre ci riesco perchè, come a tutti credo, alcune questioni "mandano il sangue in testa"! E' un pò come farle sfogare finchè non hanno esaurito il loro malessere. Devo essere sincera: se adotto questa tecnica (o quanto suggerisci tu in quest'articolo) nei confronti di una persona che amo o stimo è perchè ho un vero interesse,qualcosa che vine dal profondo per intenderci, in tutti gli altri casi (lavoro, persone sconosciute, dentro i pubblici uffici ecc) la leggo tanto come una presa in giro; mi sforzo di dire o non dire e di come dire solo per un mio interesse ben preciso, ben consapevole che non mi frega niente del mio interlocutore. Non so se sono riuscita ad esprimere il concetto; in altre parole sono d'accordo si con te ma...boh! Complimenti comunque sempre. Eleonora

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  2. Ciao,complimenti per il tuo blog.
    Una domanda: tu hai seguito un corso sulla comuncazione non violenta?
    Grazie, Cristina

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    1. Ciao Cristina, no ho letto il libro che consiglio lì sul lato sinistro del blog, è un bellissimo scritto che mi ha aperto gli occhi su moltissime cose!

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  3. ciao Francesco e complimenti per il blog! A proposito della comunicazione Non-Violenta, consiglio anche "Genitori Efficaci" di Thomas Gordon! Sto facendo una tesi sull'argomento ;)
    Martina

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  4. Mi scusi, ma secondo lei "l'ho fatto perché dovevo" o "non sono capace di" sono forme IMPERSONALI.?! Forse voleva dire - a proposito di comunicazione aderente a ciò che si vuole davvero esprimere - "deresponsabilizzanti", perché quelle, come anche le altre da Lei citate, sono personalissime.

    Saluti

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