Far Lavorare i Poveri per Vendere a chi è Diventato Ricco

ricchezza aumentare
Chi diventa ricco ha bisogno di chi è povero
I poveri lavoratori, agli occhi delle lobby del consumismo hanno un solo scopo di esistere: essere e restare mediocri, per far sentire ricco chi lo è già diventato; questo meccanismo è ben consolidato e si sviluppa attraverso tutta una serie di pratiche volte ad invogliare i ricchi a perseguire abitudini che i poveri non si possono permettere.

In quest'articolo scopriremo perché le grandi multinazionali che producono costosi oggetti del desiderio mostrano i loro prodotti a chi non se li può permettere, e per quale meccanismo psicologico questa strategia aumenta le vendite in modo vertiginoso.


Il tempo dei ricchi è prezioso!


Diventare ricchi ci da un vantaggio "notevole" qualora decidessimo di andare con la famiglia a Gardaland: invece di passare la domenica in fila per far un giretto di un paio di minuti sulle montagne russe, possiamo pagare un supplemento di 50 euro a persona e saltare tutte le code, annullando (quasi) i tempi d'attesa e sfruttando al massimo la nostra giornata di divertimento, in totale libertà. 

promozioni per ricchi


Questo è il messaggio che i proprietari del noto parco divertimenti voglio trasmettere: "paga e avrai dei vantaggi, i soldi possono fare la differenza, possiamo darti più tempo se ci dai abbastanza denaro!" E così ci sono supplementi al normale biglietto, adatti a tutti i livelli di ricchezza, dai 10 ai 50 euro, per la famiglia benestante che lavora duro tutta la settimana e si concede un piccolo sfizio domenicale, al ricco, ricchissimo che (ad esempio) ha già pagato buoni 120 euro per l'ingresso di sua moglie e i suoi due figli, e non fa una piega a cacciarne altri 200 per saltare la fila. Se ci aggiungiamo il pranzo e il parcheggio (pare si paghi) se ne vanno 400 euro facili facili per una domenica in un parco divertimenti.

Lo stesso meccanismo, anche se probabilmente meno dispendioso, viene applicato all'utilizzo dei Telepass; vuoi saltare la fila e risparmiare tempo? Paga! Ti trovi alla barriera di Milano in piena ora di punta o nella classica situazione di rientro massivo dalle ferie, tu che sei diventato ricco perché superiore agli altri, non vorrai mica fare la coda come tutti; pagati un bell'abbonamento Telepass, supera tutti e risparmia il tuo tempo. Poco importa se trenta metri dopo sei fermo sulla tangenziale o se questa mossa ti avrà fatto sì e no risparmiare due minuti sul totale del tuo viaggio.

Un ultimo esempio è l'introduzione del meccanismo d'imbarco prioritario; cito testualmente dal sito della Ryanair: "Il servizio di Priorità d'Imbarco consente ai passeggeri di far parte del primo gruppo che sale a bordo dell'aereo e scegliere qualsiasi posto disponibile". Vogliamo avere la certezza di un posto comodo, vicino alla nostra famiglia, oppure illuderci che quello adiacente all'uscita d'emergenza ci salverà la vita? Bene, paghiamo una percentuale sproporzionata rispetto al costo del biglietto (parliamo di Ryanair) e godremo di tali privilegi.

Questi meccanismi hanno uno scopo ben preciso, molto più subdolo degli apparenti vantaggi che ne possiamo trarre, si tratta di una strategia psicologia atta ad alimentare il divario presente tra ricchi e poveri, tra le banconote sganciate come mancia nei ristornati in Costa Azzurra e gli spiccioli che racimoliamo per comprare il pane, cioè evitare che le persone siano uguali ed abbiamo diritto allo stesso trattamento, indipendentemente dai soldi.


Essi vendono emozioni


Quado sei a Gardaland con il tuo bel Premium Express in mano e, superando tutti, come ti senti? Quando c'è la coda in autostrada e tu sfrecci via attraverso i canali preferenziali messi a disposizione di chi ha un abbonamento Telepass, cosa provi? Quando chiamano l'imbarco prioritario e aprono solo per te la "corsia" a fianco di quella saturata dai comuni mortali che si affollano al gate, quali emozioni scuotono il tuo enorme ego?

Quello che le compagnie vendono non sono servizi che ci migliorano la vita o ci restituiscono il tempo che perdiamo lavorando ogni dannato giorno; con il nostro denaro non stiamo comprando qualità della vita, ma emozioni, la possibilità di sentirci meglio, superiori agli altri, privilegiati. Potrebbero usare i nostri soldi per migliorare i loro servizi, studiare un sistema per farci attendere meno, software intelligenti che smistino il traffico a seconda del grado di affollamento delle strade, aerei più capienti o voli più frequenti, invece sfruttano questi trucchetti psicologici per vendere un qualcosa che non ci serve realmente e che, in definitiva, non migliora un tubo.

Perché tutto questo funzioni è necessario che esistano due categorie di persone, i poveri che generalmente non acquistano i servizi extra e i ricchi che lo fanno all'unico scopo di sentirsi superiori, arrivati, e quindi dare un reale significato alla loro ricchezza, che di per sé (se ne rendono ben conto) non dona alcuna felicità.

Noi poveri serviamo a questo, a far stare bene i ricchi, a dare un senso alla loro condizione e quindi alla loro intera vita, per questo motivo il sistema ha più di una buna ragione per lasciare che le cose vadano in questa direzione, anzi, fa di tutto perché il divario persista.

Se, per un istante, applichiamo questo schema al sistema Mondo, è facile capire come alcuni dei privilegi di cui gode la parte ricca del Globo, esistono solo a fronte di una parte povera che viene costantemente sfruttata.

Volendo diventare ricchi ci roviniamo


Questa situazione genera due effetti collaterali ben conosciuti e per i quali sono già state architettate precise soluzioni.


I poveri acquistano lo stesso


L'invidia e la voglia di essere come i ricchi, di avere i loro stessi privilegi, spinge il povero a comperare cose che non si può permettere, per questo motivo l'iPhone 5, nonostante costi come mezzo stipendio medio italiano, ha venduto 27.4 milioni di unità, solo nell'ultimo trimestre del 2012. Accade dunque che, per fare le stesse cose che prima facevamo con un oggetto infinitamente meno caro, tutti piano piano si omologano e comprano ciò che diventa di tendenza.

Quando, lentamente (ma non troppo) tutti arrivano a possedere quello che prima era per pochi privilegiati, ecco che il ricco non si sente più superiore, non può vantarsi e sentirsi realizzato, perché il livello si è alzato. Il sistema naturalmente ha la soluzione: emettere sul mercato un nuovo oggetto che il povero non si può permettere, almeno per ora, spingendo chi è diventato ricco ad acquistarlo.

Quando tutti avranno il Telepass, il ricco, per sentirsi meglio, avrà bisogno dei Goldpass.

I poveri cercano di diventare ricchi, ma a loro modo


I poveri hanno di fronte a sé chi ha fatto ricchezza, e vivono in un mondo dove (soprattutto attraverso la televisione) vengono loro mostrati oggetti che non si possono permettere, come automobili esageramene costose o immensi appartamenti vista mare. Il sistema sa bene che tutti i poveri vorrebbero diventare ricchi, allo stesso tempo però non può permettere che questo accada, quindi immette sul mercato ennesima illusione: il gioco d'azzardo. Il povero sa bene che lavorando come muratore dieci ore al giorno e pagano un affitto da strozzini non arriverà mai ad essere ricco, spera di fare il colpaccio e sistemarsi per sempre giocando a Superenalotto, Gratta e Vinci e videopoker. Purtroppo in queste trappole cadono le fasce sociali più deboli, cioè quelle che non hanno i mezzi per capire che, tramite questi meccanismi, statisticamente sia impossibile diventare ricchi.

Il risultato è che, chi già versa in condizioni economiche difficili, stenta ad arrivare a fine mese perché il consumismo gli porta via, con l'inganno, anche gli ultimi risparmi.

In questo scenario siamo tutti vittime


Sia chi non possiede la ricchezza che chi è riuscito a diventare ricco, in questo scenario è una vittima. Gli uni hanno bisogno degli altri perché i poveri necessitano di qualcosa in cui credere (credere di potersi arricchire facilmente) mentre i benestanti di sentirsi felici, solo perché possono permettersi cose che i poveri non possono acquistare (temporaneamente).

E' un equilibrio che, chi vende su larga scala, ha interesse a mantenere invariato, perché porta tutti a spendere inutilmente i propri soldi, rilegandoli alla condizione di schiavi del lavoro, scimmie in catena di montaggio che si fanno portare via la vita a suon di tablet, automobili e scarpe da duecento euro.

Eppure basterebbe poco per mettere in crisi l'intero sistema, sarebbe sufficiente che le persone si rendessero conto di quale immenso valore ha il tempo che la vita gli ha regalato e quanto sia stupido sprecarlo lavorando, al solo scopo di comprarsi oggetti infinitamente meno preziosi. E' come trovarsi nel bel mezzo del deserto e voler barattare un litro d'acqua per un chilogrammo d'oro, che ha certamente un valore maggiore, ma è il contesto a fare la differenza e in quel contesto l'acqua vale molto di più, perché può salvarci la vita.

Nel contesto della vita, dove la vera ricchezza è il tempo, è un buon affare barattarlo con il denaro?

Oggi ci lasciamo con il videoclip musicale del brano Padania degli Afterhours, per ricordarci quanto sia assurdo sprecare la nostra vita per rincorrere qualcosa che possiamo solo "quasi" avere.

8 commenti:

  1. Il divario fra i redditi dipende da una ineguale ripartizione della ricchezza creata dal lavoro - a parità di ore lavorate c'è chi guadagna molto di più di altri- non tanto dai meccanismi di premio di cui parli.
    Questi servono a far spendere di più le persone, come le offerte nei supermercati, per il semplice fatto che la nostra economia si regge sulla produzione e il consumo di beni. Quando frenano i consumi, cala la produzione, il pil e anche i posti di lavoro: l'economia entra in recessione.

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    1. la recessione, non è un problema causato da chi percepisce di chi ha redditi bassi... le classi sociali subalterne, sono vittime di una geestione patologica ed iper capitalista ( fosse anche di capitqalismo finanziario...)dell'economia...

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  2. Altro bel post, ottima analisi: sei proprio sprecato nel posto dove lavori, la penso esattamente come te. Il problema tuo (e mio) è che non possiamo rimanere fino alla pensione in questi ambienti di mediocrità soffocante, ad un certo punto dobbiamo svoltare (in teoria per me sarebbe meno rischioso, sono single). Riesci a cogliere i sottilissimi meccanismi che muovono il mondo nella loro vera sostanza e ne scrivi senza timore di apparire un povero paranoico disadattato: hai tutta la mia stima! Anch’io provavo a spiegare un tempo queste cose alle persone (per lo meno insinuarne il dubbio: un po’ il “metodo socratico” per così dire) e quello che ricevevo in cambio era una sottile ostilità, pensa un po’. Ho capito quindi che, una volta che uno si sveglia dal torpore ipnotico, è già un miracolo se la persona che ti sta acconto e che ti vuole bene condivide i tuoi ideali. Non immagini la soddisfazione che mi dai quando scrivi queste cose, poiché rafforzi le mie convinzioni e la determinazione a proseguire per la mia strada. Grazie

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  3. Mai estremizzare
    Certo se parliamo di lavorare 12 ore al giorno, 7 giorni su 7 per "arricchirsi" allora sono d'accordo, è da folli.
    Trovarsi, al contrario, senza lavoro, o comunque senza denaro, finisce per essere psicologicamente lacerante.
    Non parlo di non potersi permettere un iPhone ma di rinunciare anche a una pizza tra amici, figuriamoci costruirsi una famiglia.
    Rinuncio ai figli, non posso crescerli con solo amore e fantasia.
    Rinuncio a corteggiare una donna. Che senso ha? Non posso offrirgli il presente, e quale futuro?
    Ha ancora senso avere "il tempo"?
    Ci si sente dei falliti, si è dei falliti.
    È inevitabile il raffronto con gli altri, viviamo in una società! Non parlo dei ricchi, ma di persone normali.
    Si rischia di essere degli emarginati sociali.
    Avete mai sentito chiedervi "di cosa ti occupi?" e rimanere imbarazzati perché la risposta è "niente"?
    Niente, per voi sono niente.
    Ma così, io sono niente senza di voi.
    Ha ancora senso avere tempo?

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    1. Io invece penso che già lavorare 9-10 ore al giorno come già facciamo 5gg a settimana sia da folli: tolte le ore per dormire , quelle per le faccende fondamentali, commissioni ecc. ci resta da vivere forse un po’ la domenica (se non la si passa a resettare casa). Inoltre ti potrei capovolgere la questione: se devo fare un lavoro che non amo e che assorbe la totalità della mia vita (in pensione la vita sarà molto meno interessante, tranquillo!!) perché così ho i mezzi per corteggiare la futura madre dei miei bimbi e potrò crescerli con 10 volte (dieci volte!) di più le risorse che ai nostri nonni sono bastate per fare famiglie più grandi delle attuali, già così ti direi NO GRAZIE! Ovviamente ognuno ha legittimamente il suo sistema di valori, ad esempio io, se mi guardo con sincerità allo specchio, mi sento ugualmente fallito pur avendo un lavoro “sicuro” che non amo affatto pagando il terribile prezzo di sacrificare tutte le mie passioni per lo “standard sociale”. Il sistema attuale si regge solo con il binomio “iperlavorismo-consumismo” senza riguardo alcuno della vera felicità umana, inutile cercare giustificazioni psicologiche e sociali. Qui non si tratta di non lavorare, ma lavorare molto meno soprattutto facendo qualcosa che ci piace, quanto basta per garantirsi tutte le pizze che vogliamo in tranquillità con gli amici, ma abbandonando per sempre tutto quel 50% di superfluo che è proprio quello che ci sta rubando la vita.

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    2. Sono l'anonimo di prima.
      Sono d'accordo sul "rinunciare" al superfluo, così come a lavorare meno e fare qualche cosa che piace.
      Ma spesso questo è una vera e propria chimera.
      Non si può sempre fare ciò chej si ama, né decidere quanto lavorare.
      Mi spiego, posso fare il calzolaio e amare il mio lavoro, ma se onestamente non mi entra un centesimo e ho tasse e spese da pagare dovrò chiudere baracca e burattini.
      Se sono economicamente impiccato e mi si propone di lavorare 8 ore al giorno, che faccio?
      Rinuncio perché si lavora troppo?
      Rinuncio perché non mi piace?
      E se si desidera formare una famiglia?
      Non si tratta più di rinunciare al iperlavoro+consumismo ma di vivere in maniera dignitosa.
      Bella fortuna fare ciò che si ama, guadagnare abbastanza per vivere ed avere pure tempo per sé, i propri cari e le proprie passioni!
      Quanta grazia!
      Come si dice, almeno dalle mie parti, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca.

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    3. La tua replica, comprensibile, era per me scontata, io cercavo di spostare il ragionamento su un piano filosofico-esistenziale diverso (si lo so che con la filosofia non si mangia, non dirmelo). Si tratta di vedere cosa si intende con vita dignitosa, immagino che per te la mia idea di vita dignitosa equivarrebbe a quella di una vita da sfigato, ma sai l’importante è essere più soddisfatti che nell’alto modo. Ripeto per me è pieno di trappole con cui il sistema sa bene di tenerti per le palle, è tutto ben architettato. Per me vale la pena provare a lottare per migliorare la propria esistenza anziché dire che questo in fin dei conti è il migliore dei mondi possibile. Io vedo tanta gente che per inseguire il mito della vita dignitosa non fa altro che complicarsi l’esistenza, altro che! Anzi spesso si accorge, tardi, di averla sprecata. Poi c’è tutto il sistema di credenze depotenzianti che ti inculca l’idea che non esiste sulla terra fare un lavoro che piace, per meno ore al giorno e così via. Comunque ammetto che è molto difficile cercare di uscire dalla “retta via”, ma bisogna anche ad un certo punto avere il coraggio di tentare, ma tentare sul serio, non tanto per provarci. Saluti

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    4. Sempre l'anonimo di prima.
      Per me non è da sfigati rinunciare al superfluo. Non intendo quello per vita dignitosa, ma avere ciò di cui vivere e, nel caso, far vivere la propria famiglia.
      Non sto dicendo che "in fin dei conti è il migliore dei mondi possibili" quindi accettiamo e basta.
      L'esempio di chi sceglie di fare ciò che ama ma non può sopravvivere è calzante (visto che si parlava di un calzolaio).
      Si rinuncerebbe in tal caso ad un lavoro che non piace ma ti dà da mangiare?
      O si continuerebbe a fare la fame, e farla fare anche ai propri figli?
      Lo so, l'esempio pare estremo ma è reale (vedi i fatti di cronaca nera).
      Che poi ci abbiano inculcato l'idea malsana del sacrificio ad ogni costo, del consumismo, di cosa è giusto fare (lavoro, famiglia...) siamo d'accordo.
      Sono d'accordo anche sul fatto che è difficile uscire dalla "retta via," scontrarsi con la società, la famiglia, se stessi.
      Io stesso ci faccio conto ogni giorno (ho un'età per cui dovrei avere famiglia o almeno una donna e, comunque, un lavoro).
      Sono d'accordo, è difficile uscire dal gregge e seguire la propria voce. Così com'è difficile ascoltare e comprendere se stessi, scevri da le voci esterne e senza timore.
      La cosa più lacerante è che il tempo passa inesorabile.

      P. S. Grazie di questo scambio di pensieri Andrea.

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